Le elezioni dovrebbero servire a scegliere una classe dirigente adatta alle necessità di rappresentanza dei territori locali in seno allo Stato Nazionale. Con il voto del 25 settembre questo opportunità che garantiva l'unità nazionale e la coesione socio-geografica verrà definitivamente cancellato. Le periferie del Paese, specie quelle estreme del Sud, non avranno più modo di esprimere i propri bisogni territoriali, né potranno promuovere le proprie vocazioni o valorizzare i talenti in un ambito di solidarietà nazionale più ampio e unitario.
di Vito Barresi*
L’attuale legge elettorale con cui si vota il 25 settembre sembra fatta a misura per attuare uno storico massacro della sussidiarietà e frantumare definitivamente l’unità organica della vita italiana cioè il legame tra città e territori, attraverso una giusta rappresentanza parlamentare. Queste elezioni rischiano di mettere in serio pericolo la coesione nazionale in Italia senza che nessuno al momento, a destra a sinistra e al centro, abbia provato a frenare questa deriva simile a una frana minacciosa che sconquasserà l’assetto etico e culturale, la formazione storica vitale del nostro Paese.
Il centro del potere, fondato com’è su una rete centralizzata e romanizzata attorno a cui ruota un gigantesco voto di scambio basato sui grandi interessi ministeriali, quelli che vanno dai lavori pubblici alla sanità, dal credito bancario ai servizi sociali, ecc. ecc, intrecciato con i grandi affari di avide consorterie, diverrà praticamente la tomba della ‘democrazia’ italiana, guarda caso proprio a cento anni dall’avvento del fascismo e del totalitarismo.
Oltre la metà della Calabria già da decenni non vota e non si reca alle urne. Ma questo non fa notizia né tanto meno è oggetto di sane riforme per ampliare la libertà di acceso nel campo della politica. Ora con questa legge invece di allargare la partecipazione democratica la si restringe ancora di più diminuendo con ragionamenti discutibili, il numero dei parlamentari a danno delle popolazioni geograficamente più marginali. Il criterio centro-periferia produrrà più sottosviluppo più disordine sociale e abbandono.
Per combattere questa impostazione sbagliata occorre una risposta forte, cioè prendere consapevolezza che l’astensione è adesso l’unico vero segnale democratico per evidenziare allo Stato, nel suo complesso apparato, che qui la democrazia sarà sepolta, che qui i poteri criminali potranno più facilmente camuffarsi, che qui si genererà più entropia sociale e più disordine istituzionale.
Non votare è l’unica e ultima possibilità per impedire che avvenga tutto questo. Rinunciare alle urne è la sola via per salvare una vera democrazia di base che ha il suo cuore pulsante nel protagonismo e nella rappresentanza di territorio. Lo sciopero del voto nasce dalla necessità di non lasciare che si consolidi un disegno di comando che mette il Paese nelle mani di una ristretta cerchia di professionisti dei giochi elettorali e dei pacchetti di voto, scambiabili per il proprio tornaconto.
Specialmente per la Calabria non votare ha un senso e un significato politico molto più alto e importante della stessa scheda elettorale. Ecco perché, per quanto queste mie considerazioni possano apparire a prima vista opinabili, ha un proprio senso attuare una mobilitazione morale ampia e diffusa in difesa del territorio e degli interessi reali delle comunità del crotonese, affinché il 25 settembre tutti ci sentiamo partecipi in un grande e liberatorio sciopero generale del voto, per affermare la nostra identità storica e non svendere il futuro dei giovani e delle ragazze ai soliti cercatori di voto a basso prezzo.
Proprio a Crotone la democrazia ha perso quasi completamente la sua capacità di attrattiva e la sua vitalità rimanendo preda e schiava di piccoli oligarchi locali che monopolizzano il voto comunale per collocarlo sul mercato più ampio delle elezioni parlamentari e regionali e così perpetuare il proprio potere personale.
Il territorio crotonese ormai da decenni in preda a un processo di disgregazione socio-economica che sarà fortemente accelerato da un nuovo modello elettorale congegnato a solo vantaggio delle forze politiche più influenti certamente non a favore della cittadinanza esclusa e subalterna.
In queste condizioni “votare non è più democratico” come ha scritto il giornalista e ricercatore belga David Van Reybrouck. La democrazia, in breve, non è solo fatta da gesti passivi come il voto e le elezioni ma anche di un ascolto costante e non episodico e strumentale dei bisogni delle popolazioni e dei territori.