Rosatellum: il potere incostituzionale dei partiti

15 ottobre 2022, 10:52 Opinioni&Contributi

Spesso si sente dire che abbiamo un governo non eletto dal popolo ma in realtà non spetta al popolo eleggere il governo bensì al Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni della maggioranza in Parlamento che le espone in sede di “consultazioni”. Sarà il rigido rispetto (senza ingerenza alcuna) di queste indicazioni da parte del Presidente della Repubblica che garantirà la fiducia del Parlamento dando al neo-Governo definitiva legittimità.


di Natale G. Calabretta

Il vero problema però è che neanche il Parlamento è in realtà eletto dal popolo e così sarà fino a quando qualcuno si accorga della palese incostituzionalità dell’attuale legge elettorale.

In pratica la nostra legge elettorale, il “Rosatellum”, non ci consente di scegliere il candidato, deputato o senatore, che ci dovrebbe rappresentare e questo va in pieno contrasto con la Costituzione che invece stabilisce che i membri del parlamento sono eletti dal popolo.

Per i nostri padri costituenti, infatti, doveva essere il popolo ad eleggere deputati e senatori mentre oggi, come dimostreremo, a sceglierli sono solo i partiti.

Se è vero, quindi, che i parlamentari dovrebbero essere eletti dal popolo, il sistema consentirebbe di dire che, se anche in modo indiretto, è il popolo, ossia la maggioranza in Parlamento a scegliere il Capo del Governo.

Ma questo, come anticipato, sulla base del meccanismo elettorale, non è assolutamente vero né possibile perché almeno i deputati e i senatori dovrebbero essere indicati dagli elettori invece sono scelti dai partiti.

In realtà, in nessuna parte della Costituzione vengono menzionati i partiti come organi di democrazia diretta eppure oggi influenzano la nostra vita politica in modo esagerato attraverso la proposta o la imposizione pilotata dei candidati che andranno poi a rappresentarci in Parlamento.

In pratica, chi ambisce a diventare parlamentare deve fare una scelta: fondare un proprio partito con proprie liste oppure può aderire al programma di un partito già esistente.

La Costituzione non prevede per il parlamentare il vincolo di mandato con chi lo ha eletto, ossia il parlamentare non è responsabile nei confronti dei mandati elettori se non agisce secondo le linee programmatiche presentate in sede di campagna elettorale o in caso di “cambio di casacca” politica.

Ciò significa che il politico non può essere destituito in caso di tradimento della sua base elettorale; ma se il politico cambia idea rispetto agli ordini del partito viene in gran parte dei casi espulso e non viene più candidato in quelle stesse liste così spesso è costretto a riciclarsi in qualche altro partito per poter sopravvivere.


Il prezziario per

il candidato eletto


In secondo luogo, esiste un vero e proprio prezziario per chi viene eletto: si va da 15mila a 30mila euro ufficialmente da versare al proprio partito.

Ovviamente è notorio che le cifre richieste in modo non ufficiale da molti partiti di sistema è decisamente più alto e spesso pretesi in contanti, cioè non tracciabili.

Queste è una conseguenza dell’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti.

Ogni partito, in realtà, ha le sue regole e i suoi prezzi accettati dal candidato volontariamente o con tanto di firma ufficiale davanti al tesoriere mandatario del partito.

Il prezzo più alto da pagare dagli aspiranti politici ai principali partiti è quello è quello imposto da Forza Italia: ogni deputato o senatore, una volta eletto, si impegna a versate 30mila euro nelle casse del partito del “Cavaliere” e per di più in un lasso di tempo assai ristretto.

Insomma, ogni candidato, e soprattutto quelli con elezione sicura, è costretto a mettere mano al portafoglio e in Fratelli d’Italia, previo patto tra gentiluomini, i parlamentari uscenti e ricandidati versano 30mila euro nelle casse del partito e la medesima cifra, a scaglioni, verrà pagata anche dai nuovi eletti partendo da una prima rata di 10mila euro; ogni mese, poi, ci saranno da versare mille euro per il funzionamento della macchina.

Lo strapotere dei partiti però non finisce certo qui: con l’attuale legge elettorale non è l’elettore che sceglie il nome del parlamentare e a noi elettori è consentito scegliere solo la lista proposta da ogni singolo partito, almeno nel sistema proporzionale, mentre i candidati nei listini della parte proporzionale sono bloccati senza preferenze.

Con questo sistema, sia nei partiti piccoli che in quelli grandi, l’unico candidato che ha possibilità di essere eletto è colui o colei che è stato piazzato al numero uno ossia il capo lista, gli altri nominativi fanno da riempimento.

In pratica il dominus dei possibili eletti è il potente “capo partito” che ha fatto le liste piazzando in testa dei listini i suoi amici, compagni di corrente o nomi di richiamo per l’elettore influenzabile.

Tutto ciò è ovviamente molto lontano dal volere dei padri costituenti e dai maccanismi tipici di una repubblica democratica.


Il meccanismo

d’assegnazione

dei voti


Ma entriamo nel merito della assegnazione dei voti e dell’attribuzione dei seggi: un terzo dei parlamentari è eletto con sistema maggioritario, in pratica c’è un solo seggio da assegnare trai vari candidati e vince chi ottiene più voti; i restanti due terzi dei parlamentari sono eletti in base al sistema proporzionale ovvero seggi da assegnare vengono distribuiti in proporzione ai voti ricevuti dai vari parlamentari ma nel sistema proporzionale l’elettore non ha la possibilità di scegliere il suo rappresentante ma solo il simbolo della lista che preferisce.

Per altro le liste sono anche bloccate senza la possibilità di esprimere preferenze, ciò significa che dalla lettura delle liste si conosce già in gran parte chi sarà eletto, cioè il capolista, e chi invece si limiterà ad esser un portatore di voti al partito/coalizione e al capolista in particolare.

Lo spettacolo indegno offerto dalla selvaggia bagarre che si scatena dentro i partiti alla vigilia di ogni elezione per accaparrarsi la posizione nel listino deriva proprio da questo meccanismo: essere candidato per essere eletto oppure per fare solo presenza.

Inoltre la volontà dell’elettore è ulteriormente frustrata dal fatto che non è possibile esercitare il voto disgiunto: la possibilità votare, cioè, in partito all’uninominale e un partito diverso al proporzionale.

Che lo si voglia o no, i voti dati al candidato uninominale si trasferiscono alle liste che lo sostengono e, reciprocamente, il voto per una lista in coalizione con altre si trasferisce al candidato uninominale.

Per questo il “Rosatellum” è da molti giuristi considerato incostituzionale, perché consente all’elettore di scegliere solo la lista o il partito ma non il suo rappresentante.

Ma questo non è affatto ciò che prevede la nostra Costituzione, non è questo che volevano i nostri padri costituenti.

Cosa fare quindi?

Purtroppo non votare non risolve il problema, infatti le elezioni hanno valore anche con un solo voto ed è chiaro che gli apparati dei partiti voteranno il proprio candidato e così valideranno le elezioni.

Non ha neanche molto senso far mettere il proprio dissenso sulla scheda o il proprio rifiuto o magari lasciare qualche disegnino sconcio per far annullare il voto.

Questi comportamenti avranno anche un valore ideologico ma i politici se ne fregano dei valori civili e delle ideologie.

In realtà è chiaro che non ha neanche senso disinteressarsi della politica e non andare a votare perché chi non vota fa il gioco del partito che non si sarebbe mai votato, quello che più si ripugna, quest’ultimo infatti si avvantaggerà del fatto che il partito rivale non ha avuto il sostegno della parte del suo elettorato non votante.

Ecco perché non andare a votare favorisce solo il partito avverso alla propria visione.

Si dimostra così che scegliere il “male minore ha un senso etico e civile, almeno fino a quando una classe politica “illuminata” (dai propri mutati interessi) o la Corte Costituzionale si accorga che così le cose non possono andare avanti e che siamo molto lontani dal partecipare ad una vera democrazia.