Il futuro dell’area jonica, il Next generation Eu e l’esigenza di una Cassa per le opere del Pnrr

9 aprile 2023, 20:35 Opinioni&Contributi

Quando nel 2020 l’Unione Europea varò il Next Generation Eu assegnò all’Italia, non senza opposizioni e contrasti, la cifra enorme di 209 miliardi di euro da spendere in un arco di tempo di 6 anni. In molti sostenevano, io con loro, che solo la creazione di una struttura speciale per l’amministrazione e la spesa di questi fondi avrebbe potuto rispondere ad una duplice esigenza. Da un lato progettare un investimento organico capace di affrontare alcune delle criticità del modello di sviluppo economico italiano. Dall'altro di assicurare la spesa efficace e tempestiva dei fondi che ci erano stati attribuiti.


di Giovanni Lentini

Per quanto riguarda le criticità del modello di sviluppo italiano, legato in gran parte all’arretratezza del Sud, molti sostenevano - io con loro - che l’80% di quelle risorse, e non il misero 40% fatto passare per una conquista e, per alcuni autonomisti d’antan, come una regalia, dovevano essere destinate alle regioni meridionali per ridurre il divario territoriale tra Nord e Sud.

In effetti quelle risorse erano state assegnate all’Italia in quanto il nostro Paese rientrava e rientra ancora nell’obiettivo 1. Tale obiettivo, detto anche regionalizzato, si applica a territori il cui Prodotto interno lordo (Pil) pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria.

In Italia solo le regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e Molise, hanno il Pil pro capite inferiore al 75% della media comunitaria. Risorse, quelle del Pnrr, previste per ridurre l’evidente e innegabile divario territoriale esistente tra i territori delle regioni italiane.

Pertanto, dovevano e devono servire (siamo ancora in tempo per fare una veloce e repentina inversione a “U”) per ridurre questo divario. Solo a questo scopo l’Italia ebbe l’accesso a quelle risorse, non per altro.

Per ciò che concerne la creazione di una struttura speciale proprio in questi giorni Giorgio La Malfa, presidente della Fondazione “Ugo La Malfa”, in un interessante articolo del Sole 24 ore, ci ricordava

il precedente del 1947/48 di Donato Menichella che aveva sollecitato la Banca Mondiale a concedere dei finanziamenti all’Italia per poter affrontare il problema delle nostre aree sottosviluppate e si era sentito rispondere che l’ipotesi sarebbe stata presa in considerazione solo se l’Italia avesse creato un ente apposito per la progettazione e la realizzazione delle opere. La ragione - gli era stato detto - era che l’Italia non era riuscita a fare pieno e buon uso dei fondi del piano Marshall a causa dell’inefficienza della pubblica amministrazione. Come è noto, era nata così la Cassa per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno che nei suoi primi anni fu un modello di efficienza, come era stato ed era ancora in quegli anni l’IRI di Alberto Beneduce, anch’esso costruito in modo da evitare le pesanti inefficienze della Pubblica Amministrazione”.

Proprio in base a quel precedente da più parti si sosteneva e si continua a sostenere che il solo modo di affrontare il problema, con qualche possibilità di successo, era l’istituzione di un ente per la progettazione e l’esecuzione delle opere da finanziare con il Next Generation Eu.

Una cassa per le opere straordinarie del Pnrr che - ricevuti dal Parlamento e dal Governo gli indirizzi di carattere generale circa la destinazione dei fondi e messo alla testa di questo ente una personalità di grande prestigio europeo, in grado d’intrattenere un rapporto stabile con la Commissione di Bruxelles - avrebbe dovuto procedere in autonomia nella progettazione ed esecuzione delle opere.


L’accozzaglia di progetti

scollegati tra loro

e privi di un

disegno complessivo


Contrariamente a tutte queste sollecitazioni, la soluzione alternativa prevista è stata quella di assegnare la progettazione e l’esecuzione delle opere a una miriade di stazioni appaltanti, centrali e periferiche. Con la conseguenza, inevitabile, di aver creato un caos incontrollabile e ingestibile.

Un’accozzaglia di progetti scollegati fra loro e privi di un disegno complessivo che di fatto ha limitato e sta limitando l’effetto strutturale e trasformativo del finanziamento europeo.

Una serie di grandi discrepanze nella capacità delle stazioni appaltanti di preparare i progetti e ancor più nella capacità di realizzarli che, di fatto, sta creando gravissime inadempienze e sta facendo accumulare ritardi irreparabili.

In realtà nessuna forza politica, nessuna, diede segno di condividere e neppure di prendere in considerazione l’impostazione proposta da più parti, e tutte autorevoli, che richiedevano la distribuzione della gran parte delle risorse alle regioni del Mezzogiorno e l’istituzione di una Cassa per gli interventi straordinari per il Pnrr.

Tutti persuasi - così sembrava, oggi un po’ meno - che il potere di progettare e di spendere dovesse essere attribuito ai ministeri
centrali e agli enti locali e che la chiave del successo era nelle parole “poteri di sostituzione” e cioè nell’attribuzione a una sede centrale della responsabilità di monitorare l’andamento dei progetti e di sostituirsi prontamente agli eventuali enti inadempienti.

Cosa, sino ad oggi, mai avvenuta e che, probabilmente, mai avverrà. Il Pnrr è stato avviato in base a questa impostazione. Non si è mai discusso a che cosa dovessero servire i fondi, tanto è vero che oggi alcuni Sindaci pensano che rifare gli stadi di calcio o le piste di atletica o cambiare la pavimentazione stradale e l’illuminazione pubblica sia una buona idea.

Né si può dire che abbiano torto dal momento che Governo e Parlamento non hanno mai definito priorità ed obiettivi del Pnrr. Non c’è stato verso di indurre a una discussione costruttiva.

Oggi si scopre che l’Italia non riuscirà a fare non dico buon uso, ma nemmeno pieno uso dei fondi. Per ovviare a tutto ciò ci toccano due strade da percorre. La prima, qualora il Governo volesse caricare su altri il fallimento, dovrà procedere come sta facendo. La seconda, se il Governo volesse rimediare, non resterebbe che indicare le proprie priorità, procedendo a un esame dei progetti approvati. Ancora, eliminando i progetti che non corrispondono alle propria visone di fondo. Quindi, preparando altri progetti che corrispondano a un disegno complessivo da fornire all’Europa. Infine, affidando a un Commissario i pieni poteri in materia di Pnrr.


Le scelte che

richiedono

capacità progettuale

e coraggio


Tutto questo richiede in ugual misura capacità progettuale e coraggio. Ma è un test al quale il Governo non può sottrarsi. Su questo si misurerà e si dovrà misurare l'azione governativa e non sulle sgrammaticature istituzionali da parte di qualche suo autorevole rappresentante - che pure ci sono state, e sono state gravissime - nonostante le scuse e i ripensamenti.

Sarebbe un segnale di maturità da parte delle forze di maggioranza e, perché no, anche delle forze di minoranza. Un bel segnale. Se fosse possibile, e se mi fosse concesso, consiglierei al Governo di preparare un progetto complessivo incentrato sul Sud e in particolare sulla interregionalità dell'Arco Jonico. La stessa area che, personalmente, individuo nella Riva Sud d’Europa.

Un progetto complessivo che preveda nell'immediato l'elettrificazione e il potenziamento AVR a doppio binario della reti ferroviarie non elettrificate. Ancora, la realizzazione della nuova E 90. Quindi, la costituzione di una società aeroportuale, organizzata secondo un modello consorziale, per gestire gli asfittici e marginali aeroporti jonici.

Continuerei con la creazione di un’azienda speciale per la gestione dei porti turistici jonici; una rete, del resto, ineguagliabile per numeri in Italia. Proseguirei con la realizzazione di un soggetto commerciale -organizzato secondo il modello giuridico della società per azioni in mano pubblica - per gestire i porti jonici.

Mi dedicherei, ancora, ad imbastire un sistema di piattaforma logistica e trasporto della filiera agroalimentare. Terminerei con l’istituzione di un distretto produttivo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, incentrato sull’idrogeno verde.

QUELLA DA ME PROSPETTATA, una parte, non la più consistente, forse, in termini economici, ma, probabilmente, la più nuova e originale di un disegno più complessivo che riguarda il Sud e l’Italia intera.

Un disegno complessivo fatto di programmi e di progetti moderni e trasformativi, incentrati sui territori del Mezzogiorno. Territori che possono diventare ed essere la locomotiva d’Italia e d’Europa.

Per tranquillizzare la Comunità Europea e, soprattutto, per mettere al sicuro il futuro delle nostre nuove generazioni, sulle quali, restando così le cose, soffia forte il vento della precarietà e di una nuova povertà, mai conosciuta negli ultimi tre quarti di secolo.