Il prossimo 30 gennaio la casa d'asta Christie's piazzerà ben 36 oggetti di periodo tardo-antico provenienti dall'Italia: di questi, ben 19 provengono genericamente dall'area della "Magna Grecia". Da un museo francese finiranno nelle collezioni del miglior offerente, dopo che lo Stato non è riuscito ad ottenere la restituzione nonostante la dubbia provenienza.
di Francesco Placco
Vi servono almeno 7 mila dollari per poter partecipare alla prossima asta di Christie's, che si svolgerà a New York il 30 gennaio, e sperare di accaparrarvi un pezzo di storia antica. Il titolo dell'evento è evocativo, Arms and Armour from the Mougins Museum of Classical Art Part I (QUI), e lascia intendere che altre aste seguiranno in futuro. Ma d'altra parte, non è di certo la prima volta che ci ritroviamo a commentare delle aste del genere: ed anche in questo caso, ci priveremo di reperti unici che, con ogni probabilità finiranno definitivamente al di fuori dell'Europa.
A finire all'asta è parte della collezione del Museo d’Arte Classica di Mougins, centro culturale francese che a partire da quest'anno si occuperà prevalentemente di arte contemporanea. Sono complessivamente 400 le opere che saranno vendute al migliore offerente, tutte appartenenti al collezionista Christian Levett (QUI). Fin qui nulla di strano, se non fosse che alcuni dei reperti in questione, come ricostruito (QUI), sono appartenuti alla famosa collezione privata di Axel Guttmann, e noti per essere di dubbia provenienza.
Andiamo per ordine: la collezione di Guttman - costruttore tedesco morto nel 2001 - contava circa 1.200 pezzi acquistati a partire dal 1982. Dopo la sua morte, i familiari hanno progressivamente venduto parte della collezione già a partire dal 2002, quando vennero ceduti 79 pezzi antichi (QUI). I pezzi non andati all'asta sono stati acquistati anche da fondazioni e mecenati, tra cui Levett, che espose i reperti nei musei francesi.
Il problema di fondo, però, è un altro. Molti dei reperti provenienti dall'Europa meridionale (Spagna, Italia, Grecia) sono stati identificati come di dubbia provenienza, e dunque acquistati illegalmente. Il nome di Guttmann infatti è stato più volte accostato, in Italia, a quello del trafficante Gianfranco Becchina (QUI), dal quale avrebbe ottenuto proprio i famigerati elmi e parti di armature. Si tratterebbe dunque di reperti archeologici provenienti da scavi abusivi, clandestini.
Circostanza ben nota allo Stato italiano, che ha provato a riottenere dei reperti appartenuti a Guttmann (QUI) senza però riuscirsi. Leggiamo infatti che "Con sentenza del 9 dicembre 2010 il Tribunale Amministrativo di Berlino ha respinto l'azione di restituzione avviata da questa Amministrazione ai sensi della Direttiva 93/7I CE per il recupero di un elmo di età geometrica a calotta di bronzo posseduto dal cittadino tedesco Axel Guttmann. Con nota del 12 marzo 2011 l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto opportuno non ricorrere in appello la sentenza sopra citata per uniforme giurisprudenza tedesca su casi analoghi e si sta quindi seguendo la via del processo penale ancora in corso".
Inutile dire che quella via non ha portato da nessuna parte. Risultato diverso invece quello ottenuto dal Ministero della Cultura spagnolo (QUI), che nel 2019 è riuscito a farsi riconsegnare un intero corredo in bronzo appartenuto ad un guerriero risultato trafugato illegalmente da uno scavo del 1980. Tale corredo rientrava oramai nella collezione di Levett, che con l'intermediazione dell'Unesco ha acconsentito a restituire il tutto.
Arriviamo così all'asta che "svenderà" (si fa per dire) parte del nostro patrimonio, sebbene si tratti - in parte - di oggetti che, stando al recente trattato Italia-Usa sui reperti archeologici (QUI), andrebbero sequestrati. Se non altro perché in molti casi è impossibile verificarne e certificarne l'esportazione dall'Italia (a partire dal 1970), e molti risulterebbero addirittura privi di documenti di vendita e acquisto (QUI), o correlati a fatture senza date (QUI). Tanto basta, evidentemente, per poterli rivendere a facoltosi collezionisti per migliaia di dollari.
Siamo consapevoli di possedere un patrimonio storico ed archeologico degno di nota, e fin qui non ci piove. Potremmo anche fregarcene, in altre parole. Tuttavia, dovremmo chiederci se non è necessario un intervento - o quanto meno un interessamento - da parte dello Stato, che più volte in passato è rientrato in possesso di oggetti antichi di varie età trafugati e rivenduti anche tramite prestigiose case d'aste.