Sulla stampa locale è apparso un articolo che, con dovizia di dati, ci ha spiegato come e qualmente una larga fetta di terreni della fascia jonica crotonese e catanzarese restino spesso arsi dalla sete pur essendo in prossimità di invasi ricchissimi d’acqua.
di Diderotto
Il tutto ruota attorno alla dicotomia acqua per produzione di energia elettrica-acqua per uso irriguo e potabile, e prende le mosse addirittura nel 1969, quando la Cassa per le Opere straordinarie nell’Italia meridionale, allora proprietaria degli invasi silani, concedeva la gestione degli stessi all’Enel, all’epoca statale, fissando i quantitativi da destinare alle necessità irrigue e potabili rispetto a quelli occorrenti per la produzione elettrica. Questi rimangono a tutt’oggi i parametri cui uniformarsi.
Successivamente, nel 1972, vengono promulgate le norme attuative per l’istituzione delle Regioni, pur previste in Costituzione dal 1948, e la Regione Calabria diviene proprietaria, fra l’altro, delle risorse idriche, che mantiene in convenzione alla statale Enel, che, pur essa però, dopo essere stata privatizzata nel 1992 con unico azionista il Ministero del Tesoro, nel 1999 apre ai privati e si quota in Borsa.
La pienamente privatizzata Enel, per propria politica industriale, allora, molla baracca e burattini e nel 2009 cede la Convenzione in essere per la gestione degli invasi silani ad A2A, società privata, che annovera fra gli altri azionisti il Comune di Milano e quello di Brescia, e che è quotata anch’essa in Borsa.
Un attimo esplicativo. La produzione di energia elettrica da risorsa idrica avviene con il sistema dei salti, cioè dagli invasi, per caduta, si giunge agli impianti a valle che azionati dall’acqua producono energia elettrica, che subisce, si badi bene, al pari di altri, oscillazioni del prezzo di mercato.
Per tale motivo, per necessità o urgenze mercantili, si può decidere di scaricare masse d’acqua in eccesso per incrementare la produzione energetica, fidando, erroneamente, sulla capacità di contenimento della massa idrica in eccedenza da parte dei bacini di accumulo.
Gli stessi, che ci sono, non sono però sufficienti a ritenere carichi d’acqua sproporzionati, per cui, per esempio per il bacino di Calusia, il surplus del milione di capacità di contenimento, che gli è proprio, va a finire nel fiume Neto e quindi a mare, con una stima approssimativa di 50 milioni di metri cubo annui.
Il risultato è che, a prescindere dalle precipitazioni atmosferiche non sempre all’altezza, l’acqua, che pure ci sarebbe ed avanzerebbe per gli usi irrigui e potabili, spesso manca, sacrificata sull’altare del profitto idroelettrico.
D’altronde A2A, società quotata in Borsa, legittimamente persegue i suoi interessi e quelli dei suoi soci, peraltro piegandosi, ovviamente dietro corrispettivo da parte della Regione Calabria, a parziali rimodulazioni della Convenzione per non infierire sulla carenza idrica per campi e potabilizzatori e anche per contribuire a mantenere la pace sociale.
E allora il problema dov’è? È in Regione. Il Presidente Occhiuto, tempo fa, in considerazione della scadenza della Convenzione in capo ad A2A, nel Dicembre 2029, ha dichiarato che “competition is competition”, con ciò marcando il principio di concorrenza nel mercato.
E noi ne abbiamo i cogl… pieni. Perché è ora che tutti ricordino che nei giorni 12 e 13 giugno 2011 si è tenuto un Referendum sull’acqua bene pubblico ed i Sì hanno vinto con una percentuale del 95,35% dei voti, sul 57% dei votanti.
Se questo Stato, in ogni sua articolazione, ritiene di voler ristabilire una sua legittimità, invero da tempo a brandelli, deve assolutamente dar corso al risultato referendario e non permettersi più di considerare l’acqua come bene da mercato libero.
E poiché la A2A, in ogni caso, sta da tempo dimostrando che la gestione della risorsa idrica è tra l’altro produttiva di utili, la Regione Calabria, a far data da Gennaio 2030, deve assumere in proprio tale gestione, provvedendo, inoltre, all’ampliamento dei bacini di accumulo per evitare inutili dispersioni, in modo da non dover patteggiare sistematicamente e dietro compenso il soddisfacimento delle necessità idriche della nostra popolazione.
“Competition is competition” se lo riservassero per qualche minchiata milionaria multiregionale! Se ne facciano una ragione tutti: l’acqua è pubblica! E su questo bene non è più consentito a nessuno di imbandire banchetti da straccioni. Il Ponte sullo Stretto potrebbe fare da ottima alternativa.