COSA VEDERE | Rocca di Neto dall’VIII secolo a.C. ai giorni nostri

12 aprile 2012, 19:56 Calabria Coast to Coast

Rocca di Neto, con il suo paesaggio caratterizzato inizialmente da una fascia tutta gobbe e colline cui seguono, dolcemente, le pendici che collegano le colline al corso del Neto prettamente pianeggiante, si pone alle spalle della fascia costiera tra Cirò Marina e Crotone. Con la sua forma triangolare, con l’ipotenusa ortogonale rivolta verso l’incantevole, leggendario e mitico mare Ionio ed il vertice orientato a Nord, si estende per 43,63 Ha, con una densità abitativa di 128,76 abitanti per chilometro quadrato e presenta un’altitudine che va da un minimo di 11 slm (nel letto del fiume) ad un massimo di 270 m slm. Il Comune, nella fascia collinare Presilana, presenta una rete viaria alquanto sufficiente alle varie esigenze della comunità. Infatti, sono facilmente raggiungibili, in breve tempo, l’azzurro e cristallino mare e la secolare e verdeggiante montagna della Sila, per mezzo delle due arterie: la SS 107, denominata “Silano-Crotonese”, che è la via di comunicazione più importante che percorre tutta la vallata del Neto e congiunge due grosse città, quali Crotone e Cosenza, riconfermando la vallata, come nell’antichità, una naturale via di transito; la SS 106 grazie alla quale, a 96 Km da Rocca di Neto, si può agevolmente raggiungere Lamezia Terme, importante sia come nodo ferroviario sia come stazione aeroportuale

L’origine di Rocca di Neto è lontana, risale infatti all’epoca dell’immigrazione greca di Calabria.

Ed è proprio agli Achei, probabilmente richiamati fra l’VIII e il VII secolo a.C. dalla fertilità delle valli del Neto e del Vitravo, che si fa risalire l’origine dell’odierna Rocca di Neto. Una leggenda, raccolta da Strabone nel libro VI, ci narra che alcuni Achei, di ritorno dalla guerra di Troia, errando qua e là, furono spinti lungo la bassa valle del Neto e vi sbarcarono per esplorarne i posti. Le donne troiane, che navigavano con loro, accortesi delle navi vuote di uomini, le diedero alle fiamme perché stanche della navigazione ed attratte dalla bontà dei luoghi.

La vallata del Neto rappresentava per i Greci una terra promessa e vi fondarono vari nuclei abitativi ricchi di campi fertili, legname, materie prime, acqua abbondante, caccia e pesca assicurate.

Presto arrivarono altri della stessa stirpe che, seguendo il loro esempio, fondarono numerose colonie alle quali diedero per lo più nomi identici a quelli dei fiumi (il Fiume Neto derivò il nome proprio dall’incendio delle navi).

Secondo Apollodoro ed altri autori, dopo la distruzione di Troia, le figlie di Laomedonte, sorelle di Priamo, Etilla, Astioche e Medesicasta, giunsero con le altre prigioniere in questo posto d’Italia e per non essere costrette a subire la schiavitù in Grecia, diedero fuoco alle navi. Per questa ragione il fiume fu detto Neto e le donne Nauprestidi. I Greci, che erano con loro, bruciate le navi, si stabilirono qui.

La Rocca di Neto antica, allora chiamata Casale di Terrate, sorse sulle alture di Cupone e di Tanzanovella e si trovava a 39° ed 11’ di latitudine boreale, a 34° e 52’ di longitudine orientale dal meridiano del ferro; stava poi a greco da Santa Severina, a libeccio da Strongoli, a maestro da Crotone. Dall’anno 71 a.C., rimase sotto il dominio romano alle dipendenze di Petelia. Le terre di Casale di Terrate, come quelle degli altri abitati della valle del Neto, furono assegnate agli aristocratici romani, che estesero l’economia del latifondo, basata sull’integrazione tra la coltura estensiva dei cereali e la transumanza di mandrie e greggi tra la marina e la Sila, attraverso le valli del Neto e del Tacina.