Il racconto di Gianluca Facente e Sandra Giglio “La Madre del Turco” traccia un percorso umano che sostiene lo spirito del lettore e aiuta ad accompagnare i protagonisti verso la pace interiore, nonostante le vicende della vita. Fin dal primo capitolo del libro i sapori, gli odori, i frutti della terra e del mare calabrese, descritti nelle vicende del racconto, sono una benedizione che forgiano l’attitudine e il sentimento di uomini e donne umili ad essere misericordiosi e caritatevoli con il nemico invasore.
di Sasà Barresi
Era un tempo, il racconto richiama a scene di vita quotidiana che oggi in pochi gustano: il perdono. Vivere un tramonto sul mare è una passione delle persone amanti del bello, che cibano l’anima attraverso la visione di una trasformazione della luce del giorno alla luce della sera.
Sì, proprio come il personaggio principale del racconto, che da schiavo salva la propria vita passando dall’oscurità della morte certa, alla rinascita della luce diventando un potente comandante turco, ma solo dopo aver abbracciato un’altra fede.
Nel racconto si evidenzia come la paura della sera, dopo il tramonto, fa sempre paura, proprio come il terrore dei Turchi che potrebbero assalire la popolazione calabrese animata nella storia.
Un luogo, Le Castella, che ancora oggi sprigiona aria di un tempo antico, quello raccontato nel libro, dove una forza maligna ha creato orrore e devastazione, prendendo il sopravvento alla pace.
Bruciavano quello che non serviva loro, comprese le Chiese, e prendevano i giovani per renderli schiavi e le donne per i loro piaceri. Scene di vita contemporanea che sono raccontate con maestria storica dagli autori e con un profilo simile all’invasore moderno, che alza il vessillo della religione per sopraffare l’uomo e vantare il potere.
Ma chi è l’invasore: un convertito, un nuovo musulmano, diventato mistico alla ricerca di Dio, fedele fervente «più realista del re» e comandante delle forze Turche che terrorizzavano e invadevano le coste mediterranea.
E gli oppositori chi erano? Spagnoli e Castellesi che combattevano contro l’avanzata ottomana in attesa di manforte dagli alleati da terra e da mare.
Dal mare viene la speranza, scorgendo l’alba della vittoria, gli ottomani si ritirano e il Vescovo, ordinario del luogo, porta conforto alle famiglie che avevano subito atrocità dall’invasore turco. Anche una Mamma spera di rivedere il figlio reso schiavo dai turchi, rimane in attesa.
Il racconto evidenzia come l’invasore, il demonio, ha distrutto tutto ma non ha annientato la speranza. Il demonio distrugge non costruisce: è divisivo, separa; Dio fa rinascere Le Castella; Dio ricostruisce la vita di Pippa di Cicco, Madre di Giovan Dionigi Galeni, il pescatore cristiano che, da schiavo convertito all’Islam, divenne “il Saraceno”, Alì il rinnegato, Uccialì.
I musulmani non impediscono a un cristiano di entrare nel loro credo, ma una volta convertito all'Islam un cristiano non può uscirne. Una storia di una madre piena di rabbia che chiede a Dio di rivedere il proprio figlio reso schiavo dai turchi. Una madre che, nel racconto, affronta il Capitano di Costantinopoli Uccialì avendo pietà di lui, riconoscendo nella fede di questo uomo lo sguardo di Dio.
Una madre che, coerentemente con la sua fede, ha perdonato il Comandante Uccialì, testimoniando la “Redditio”, ossia la capacità di aderire esistenzialmente all'annuncio e rinarrare in parole e opere quanto gli è stato consegnato.
Una Mamma che accarezza il viso del Comandante Corsaro, quasi come un figlio, riconoscendo l’odore del pescatore; una Mamma che non si è fatta ingannare dal racconto del Saraceno; una madre che sente di aver ritrovato il figlio, che, seppur convertito all’Islam, spargendo sangue cristiano in una parte del Globo, lo aveva perdonato.
Dio aveva perdonato Niso, il figlio di Pippa e Birni. Una Madre che capisce la conversione come un diritto umano: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.» (Articolo 18, Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo).
Una Madre che comprende il Figlio e non accetta la sua conversione alla dottrina islamica che lo ha liberato da ogni peccato. Una Madre sa che per divenire musulmano è necessario affermare che non esiste Divinità se non La Divinità (Dio, in arabo Allah) e che Maometto è suo profeta.
Una Madre sa che essendo l'uomo libero, la conversione non può essere imposta con la forza, la violenza o l'inganno, e come dice San Tommaso d'Aquino: «Credere dipende dalla volontà».