Neonata “rubata” a Cosenza: l’angoscia dei genitori e l’autoinganno dei rapitori

23 gennaio 2025, 07:54 Opinioni&Contributi
Rosa Vespa e Aqua Moses e il ritorno a casa della piccola Sofia

Il drammatico rapimento della piccola Sofia, conclusosi fortunatamente con il suo ritrovamento, lascia interrogativi non solo sul piano legale, ma anche su quello psicologico e relazionale. La donna responsabile del gesto avrebbe simulato una gravidanza per nove mesi, organizzando una vera e propria messa in scena della nascita, culminata nel rapimento della neonata.


di Marco Piccolo*

Questa vicenda solleva riflessioni profonde sulle motivazioni psicologiche alla base di un gesto così estremo. Simulare una gravidanza, organizzare una festa, coinvolgere inconsapevolmente familiari e amici, e arrivare al punto di rapire una neonata (QUI) indicano una frattura profonda nel mondo interno di questa persona.

Un gesto così estremo potrebbe essere il risultato di un vissuto traumatico, di un senso di vuoto esistenziale insopportabile o di una profonda alienazione.

La donna sembrerebbe aver costruito una sorta di allucinazione mentale che l’ha portata a vivere come reale ciò che reale non era: la sua maternità. La sua mente ha probabilmente elaborato questa convinzione come un meccanismo di difesa estremo, un modo per riempire un vuoto insostenibile.

Questo le ha permesso di agire con una coerenza spaventosa, organizzando dettagli come la festa, gli abiti della neonata e persino il post sui social, alimentando ulteriormente la sua convinzione.

Un ulteriore elemento di complessità è la possibilità che il marito della donna fosse realmente all’oscuro dell’intera simulazione. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a una dinamica relazionale caratterizzata da una profonda disconnessione o, in alternativa, da una forma di negazione inconscia da parte del partner.

È quindi possibile che, per ragioni legate a bisogni emotivi insoddisfatti, egli abbia inconsapevolmente accettato una narrazione tanto fragile quanto irreale, senza mai metterla in discussione, trasformando la realtà in un teatro di autoinganno reciproco, dove il dolore e la sofferenza sono rimasti però inespressi.

Non meno rilevanti sono le emozioni dei genitori della bambina rapita, che hanno vissuto ore di terrore (QUI). Il senso di vulnerabilità che deriva dal vedere spezzata la sacralità del legame tra madre e figlio, proprio in un luogo che dovrebbe essere sinonimo di protezione, come una clinica, è qualcosa che lascerà inevitabilmente un segno.

Questo evento drammatico, però, ci parla anche di un altro aspetto: la straordinaria capacità della nostra società di mobilitarsi. Il rapido intervento delle forze dell’ordine, il sostegno della comunità e il ritorno della bambina tra le braccia dei genitori sono un segnale di speranza.

Come psicologo, credo che sia fondamentale riflettere sulla necessità di strumenti più efficaci per intercettare segnali di disagio psicologico - come il potenziamento dei servizi pubblici territoriali - soprattutto in quelle situazioni in cui il dolore individuale rischia di trasformarsi in un gesto estremo.

*Psicologo, Presidente Sindacato delle Famiglie Sidef Calabria