Organizzare speranza per svegliare l’aurora: il discorso alla città di Monsignor Torriani

20 maggio 2025, 10:00 Opinioni&Contributi

La notte tra il 17 e il 18 maggio 2025 resterà impressa nella memoria di Crotone. Non solo per il pellegrinaggio che, come ogni anno, ha accompagnato l’effige della Madonna di Capocolonna dal promontorio sacro al cuore della città, ma per il clima di fede viva, di popolo in cammino, di identità condivisa. È stata una festa – come ha detto il vescovo mons. Alberto Torriani – che ha attraversato la notte per «svegliare l’aurora».


di Sasà Barresi*

Un momento solenne e partecipato, fatto di passi e di preghiera, di canti e silenzi, di emozioni e memoria. Un rito collettivo che non si è limitato alla dimensione religiosa, ma ha toccato le corde civili e sociali della città. Il messaggio lanciato al rientro dell’effige è stato chiaro: questa festa non può essere solo tradizione, ma deve diventare speranza organizzata.

«Questa non è solo una tradizione. È qualcosa di più. È un popolo mariano che cammina insieme. Di notte, nella fatica, nella speranza, nella ricerca», ha detto l’Arcivescovo Torriani nel suo primo anno alla guida della diocesi di Crotone-Santa Severina.

Il mare che accompagna, le barche illuminate, la città che si affaccia sul porto, le lacrime di chi guarda e canta, gli applausi, il sorriso della Madonna tra la gente. Ma anche i problemi non nascosti, anzi: portati al centro con coraggio e lucidità. Il vescovo ha parlato apertamente delle «notti che attendono ancora l’alba» nella città: la mancanza di lavoro, l’emigrazione giovanile, la povertà educativa, l’incuria dell’ambiente, la solitudine delle famiglie. Un elenco concreto, che non vuole scoraggiare, ma risvegliare le coscienze.

Ed è qui che arriva la provocazione più profonda del discorso: la festa, per non essere solo “festaiola”, deve diventare cammino. Deve essere un laboratorio di futuro.

Citazione significativa è stata quella di Mons. Giuseppe Agostino, vescovo di Crotone negli anni ’90, che già nel 1995 scriveva: «Organizzare una festa è, in fondo, la capacità di “organizzare speranza”, da parte di tutti, specie di chi ha responsabilità della gestione del bene comune.»

Parole che risuonano oggi più attuali che mai. Perché organizzare speranza significa non rassegnarsi. Significa costruire alleanze educative, promuovere partecipazione, credere ancora nella possibilità di cambiare, insieme.

E poi, quel passaggio sulla Madonna che non rimane chiusa nel santuario, ma attraversa i quartieri, abbraccia la città, ci guarda da madre, ha toccato molti. Maria non è spettatrice ma compagna di viaggio. E il vescovo ha sottolineato come la fede non possa fermarsi ai riti, ma debba entrare nel cuore, nella vita, nei gesti quotidiani. Solo così, la festa continuerà nei giorni che verranno.

Il momento finale, quasi cinematografico, è stato affidato ai fuochi d’artificio. Ma anche lì, c’è stata una chiave diversa: «Non solo spettacolo. Quei fuochi sono un invito a fare il “botto” del cambiamento. A rompere l’indifferenza. A brillare come comunità solidale, viva, creativa e intraprendente.»

Un invito per tutti, credenti e non credenti. A camminare insieme, a riscoprirsi comunità, a fare della festa un seme di futuro. Con Maria, ancora una volta, come guida sul sentiero della speranza.

*diacono