Alcune realtà dell’entroterra calabrese sono ancora permeate da un profondo senso religioso che accompagna la vita delle persone non solo per tutto il giorno, ma anche per tutte le fasi della vita, dall’infanzia alla vecchiaia fino alla morte. Accanto ad una forte religiosità, però, è presente nella stessa misura anche una visione fatalistica delle cose, che porta ad ingraziarsi i favori del destino e delle forze che lo animano con riti ed amuleti d’ogni genere. Bisogna stare sempre vigilanti, visto che in agguato c’è sempre la tentazione e da essa bisogna difendersi. Così, non è certo inusuale vedere in questi paesi immagini sacre contenute nelle classiche conicèddre (edicole votive), le case piene di immagini e statue di santi, accanto ad altri amuleti di carattere superstizioso, come corni, ferri di cavallo, fino ad arrivare ai più sofisticati abitini, meglio noti con il termine vurzìddra (borsettina). Tale commistione continua tra magia e religione è particolarmente presente nell’affàscinu. Il termine deriva da “fascinum”, vocabolo di genere neutro che significa incantare con il malocchio, reso in latino col verbo “fascinare”. Molta preoccupazione desta in alcune persone, ancor oggi, la possibile invidia della gente, da cui generalmente scaturisce l’affascinu.
Frequente l’espressione gergale: pari affascinatu. L’azione del “fascinatore” può essere volontaria o inconsapevole. Può trattarsi, infatti, sia di una persona malvagia che agisce solo per fare del male, per invidia o per vendetta, o può essere il frutto di un semplice pensiero, di stupore o meraviglia, anche innocente, per le virtù o le fortune riconosciute agli altri, che può provocare il malessere di queste persone. Incontrando per la prima volta una persona, oppure rivedendo qualcuno dopo tanto tempo si usava dire: Benedica, chi bella giuvane, fore affascinu! Sputando poi nella sua direzione per inibire l’affascinu. Gli antichi, consigliavano, se si riceveva un complimento o un apprezzamento, di metterci ‘a malizza (la malizia), di stare, cioè all’erta, e di accompagnare il tutto con l’espressione di carattere quasi taumaturgico scizzione, ppe nnu t’affascinanu. Ad esorcizzare tale pericolo, si possono notare in parecchi usci delle case moderne, magari accanto all’ultimo ritrovato tecnologico, amuleti o oggetti che si ritiene possano allontanare le forze del male.
Ci sono, essenzialmente, due tipi di affascino: quello che porta tale nome, che, in qualche modo, è rimediabile, essendo una forma più lieve. Ben più preoccupante e pericolosa, è la forma detta “occhio del mondo”, che può essere addirittura letale. Un’espressione usuale, quando qualcuno si trova in situazioni disperate, e quella che recita, appunto: pari ca è ‘ncappatu all’uacchiu du munnu. All’interno dell’abitazione, per tale ragione si mettevano degli amuleti per rafforzarne la protezione, proprio dietro la porta d’ingresso. Gli oggetti più frequenti utilizzati a tale scopo erano le teste d’aglio, panetti di sale grosso, un coltello d’azzaru (acciaio) immagini sacre, soprattutto di San Francesco, Sant’Antonio e i vanciali, (strisce di carte che contenevano delle preghiere in latino) un rametto di olivo benedetto, e la ruta, che, come tradizione vuole, “ogni male astuta” (spegne ogni male). Particolarmente soggetti agli influssi malefici sono i bambini, che andavano, quindi, salvaguardati con particolari attenzioni. La commistione tra elementi religiosi con quelli d’origine pagana, è determinata, e nel contempo, determina, una visione particolare della realtà, in cui trovano spazio anche zone d’ombra, l’ignoto; tali zone oscure, sono abitate da quelle forze malefiche che, non a caso, nell’idioma locale vengono identificate come “umpre” (ombre). Da tali forze bisogna difendersi; per far ciò occorre invocare la protezione di quelle forze soprannaturali, questa volta benefiche, che possono, in qualche modo, neutralizzare gli influssi negativi delle “umpre”.
Nei vari paesi, donne dotate di particolari poteri praticavano la magia bianca. A loro si rivolgeva chi era stato affascinato, chi aveva subito l'influsso del malocchio, chi avvertiva malori vari. Quelle mettevano in atto strani rituali, biascicavano "carmi", segnavano croci, imponevano le mani sulle parti doloranti, massaggiavano, usavano l'acqua, il sale, l'olio, e tutto spariva come per incanto. La ragazza avvertiva un forte mal di testa? Un certo torpore? Qualcuno o qualcuna aveva indirizzato su di lei l'occhio fascinatore. La madre le consigliava subito: - Vai da zia Peppina che ti fa l'affascino. Ad esempio, si devono rivelare la notte di Natale, se non si vuole che le forze ostili che si vuole combattere, si ritorcano contro chi non osserva tale regola. Se non si rispettano questi accorgimenti, le stesse formule perdono efficacia, e chi ascolta non imparerà più questi rituali. Ci sono dei rituali antichissimi, anche con invenzioni del tutto personali. Ad esempio, per scoprire se c’è davvero il malocchio, si deve far cadere delle gocce di olio in un piatto pieno d’acqua. Se le gocce si espandono, significa che il malocchio c’è; per toglierlo bisogna recitare alcune preghiere, finche, ripetendo l’esperimento, le gocce non restano intere. Un altro modo per vaticinare la presenza del malocchio, è lo sbadiglio. Infatti, se un individuo sbadiglia di continuo, quasi certamente è affascinatu.
Per capire chi è la persona che gli ha trasmesso il flusso di fascinazione, si ricorre alle preghiere, riproponendo, ancora una volta, la commistione tra sacro e profano. Per scarminiàre (togliere o calmare) l’affascinu, si recitava il rosario; se la persona rispondeva (sbadigliando) mentre si recita l’Ave Maria, la persona che l’ha affascinatu è una donna; se sbadiglia mentre recita il Padrenostro, è un uomo analfabeta; se sbadiglia durante il Credo, è un uomo scrivano, cioè, che sa scrivere. Accanto a queste pratiche, un tempo c’era anche la magaria, con incantesimi.: guarigioni, innamoramenti, messa in atto dalla magara, che operava sempre nel misterioso silenzio della notte. Ed a sentire e vedere all’opera persone come la zia Teresa e zia Peppina balza subito in mente un vecchio adagio popolare: non è vero, ma, anche se solo un po’, ci credo.
Servizio di Giacinto Carvelli | montaggio di Domenico Leonelli