Congresso dei medici di famiglia a Crotone: il saluto della Provincia
"A tutti i medici di famiglia qui convenuti per la loro assise porgiamo il saluto dell’Amministrazione provinciale che abbiamo l’onore di rappresentare. Grazie per avere scelto la nostra città quale sede di un congresso così importante, su cui giustamente ricade l’attenzione della società italiana, essendo il ruolo dei medici di famiglia fondamentale nei nuovi assetti che la sanità italiana sta assumendo al fine di ottimizzare le prestazioni. – Lo scrivono in una nota Stano Zurlo, Presidente della Provincia di Crotone e Ubaldo Prati Vicepresidente della Provincia di Crotone - Parliamo da una terra in cui fiorì la più celebre scuola medica dell’antichità, che legò la sua fama a personaggi celebri, a medici illustri quali furono Alcmeone e Democede. Parliamo da una terra in cui già a quel tempo “mens sana in corpore sano”, cioè l’educazione del corpo e della mente, fu uno dei principi che resero possibile la grandezza dell’antica Kroton.
Oggi ci troviamo a riflettere su problemi rispetto ai quali i progressi della scienza hanno acuito la sensibilità sociale e posto talora drammaticamente le nostre coscienze di fronte a lacerazioni e inquietudini di forte impatto emotivo. Tante sono le domande che la quotidianità pone al nostro essere uomini della modernità, coinvolti in processi decisionali che spesso mettono in conflitto la coscienza individuale con la legge positiva. Ma c’è un aspetto che merita di essere sottolineato per evidenziare che certe attuali derive economicistiche stanno avanzando a scapito di una dimensione umanistica del sapere, della scienza, delle professioni, della stessa dinamica sociale, sempre più condizionata dai conti piuttosto che dalle esigenze della persona e dai suoi diritti. Recita l’articolo 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Individuo e collettività: diritto dell’uno, interesse dell’altra. Il significato è chiarissimo: prevenzione, cura, assistenza sono non soltanto un diritto individuale, ma un interesse sociale. Una società in cui la malattia regredisce e, quando si manifesta, viene adeguatamente fronteggiata e combattuta, è una società in cui la salute della persona è la condizione per la salute della collettività, intesa come equilibrio tra benefici e costi, tra benessere e impoverimento.
Di fronte a certe cronache quotidiane, però, viene la sensazione di essere su una sorta di Rupe Tarpea, da dove saranno precipitati tutti coloro che non avranno più una funzione utile ai fini dello sviluppo economico e della produzione materiale. La moderna Rupe Tarpea è l’abbandono dei deboli al loro destino, il considerare l’ammalato, il disabile, il non autosufficiente come un peso per la collettività, un costo non sopportabile perché inutile. Lentamente ci stiamo avviando a una società dove l’unico parametro valido è l’efficienza economica, dove la vecchiaia non è più il meritato periodo di riposo e di serenità dopo una vita di lavoro e spesso di sacrifici, ma un lusso che ti puoi concedere solo se sei in grado di continuare a produrre, a lavorare, a “giustificare” la permanenza in vita. Così si va in pensione, quando si va, sempre più tardi, si erogano le prestazioni mediche con crescente fastidio, si colpiscono diritti sociali che connotano il livello di civiltà di un popolo, finendo col creare una disparità esistenziale tra chi può concedersi tutto e chi nulla. Questa disparità fino ad ora era colmata dall’intervento dello Stato, che estendeva le garanzie e le protezioni sociali in senso universalistico. Oggi sappiamo che se vincerà definitivamente questa nuova concezione tecnocratica per la quale l’uomo è solo una variante economica, tutto cambierà, niente sarà più come prima.
Quali disastrose conseguenze potrebbe avere questa “filosofia”, ove dovesse prevalere, in regioni e in province come le nostre, così prive di adeguate tutele sociali e materiali, dove persino sulle poche strutture sanitarie d’eccellenza, come la Fondazione Campanella, si abbatte la scure dei tagli e delle riduzioni delle prestazioni, è facile prevedere. Per questo occorre che ci sia un sussulto di civismo e di diversità etica. La Calabria, in tutte le sue articolazioni istituzionali, politiche e territoriali, proprio per la sue condizioni di bisogno economico e di arretratezza sociale, non può subire questa logica nefasta e distruttiva, ma deve opporsi, con scelte di governo ispirate al rispetto prioritario della persona umana e della sua dignità, a una deriva che è in contraddizione con la sua storia, che ci parla di solidarietà, accoglienza, attenzione agli anziani e agli ammalati, condivisione di valori di autentica umanità; bisogna recuperare la fiducia dei cittadini nella sanità pubblica, impedire l’emigrazione per salute, che tanti disagi crea all’ammalato e ai suoi familiari, consentire che i centri di eccellenza lavorino in tranquillità, senza essere penalizzati da tagli che ne inficiano l’operatività e ne mettono in discussione persino la sopravvivenza. E’ indispensabile costruire una frontiera di resistenza morale e culturale in cui l’essere viene prima dell’avere e di tanti cinici calcoli. L’obiettivo di tutelare le conquiste sociali realizzate nel tempo, però, si persegue sapendo che una battaglia semplicemente difensiva è perdente e che è necessario, invece, sviluppare una capacità propositiva e di innovazione che non accetti la logica della sola riduzione del danno, che comunque sarebbe un arretramento, ma punti a costruire un sistema sanitario in cui la rete di protezione del cittadino parta dal livello più prossimo per estendersi poi a piramide verso il vertice delle prestazioni specialistiche. Il primo livello, quello fondamentale, quello dove avviene il primo incontro tra il problema dell’individuo e le possibili risposte, è il livello di base, quello dei medici di famiglia.
In tempi più lontani la figura del medico di famiglia era in qualche modo una sorta di miracolosa miscela di capacità professionale, ovviamente, ma poi di buon senso, di disponibilità all’ascolto, di bonaria pazienza, di umana partecipazione. Il medico era il primo sostegno psicologico di fronte alle difficoltà della vita. Pensiamo ai paesini del sud e alla funzione preziosa che i medici hanno assolto per anni sopperendo a tante, troppe assenze dello Stato; pensiamo a quanto sia stata essenziale la loro funzione per tante donne o per tanti anziani in solitudine a causa dell’emigrazione dei loro nuclei familiari. Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate, si sono perdute alcune caratteristiche del medico di un tempo, ma se ne sono aggiunte altre legate alle nuove necessità e alle nuove sensibilità. Resta, però, interamente, la funzione essenziale del medico di famiglia, la sua insostituibile presenza all’interno di un sistema che deve assicurare efficienza, qualità, universalità delle prestazioni e, insieme, il proprio contributo alla costruzione di una società che cresca nel rispetto della persona e dei valori umanistici che hanno caratterizzato la civiltà del nostro popolo. Il medico è un punto di riferimento per ciascuno di noi, quale primo conoscitore dei nostri bisogni e primo protagonista della dimensione sociale della nostra salute. Quanto più sarà messo in condizione di attuare e diffondere cultura della prevenzione ed educazione sanitaria, tanto meno sarà necessario fare ricorso alle cure e alla prescrizione di farmaci. In una sanità che cambia, che deve contenere i costi, anche se è assai opinabile che si possa e si debba ragionare sulla salute col bilancino del ragioniere, torna ad essere attuale la funzione tradizionale del medico di famiglia, l’antico professionista che accompagna le sue conoscenze specialistiche alla conoscenza profonda del suo assistito, l’unico in grado di comprendere i suoi reali bisogni e decidere l’approccio più giusto al problema che gli viene manifestato. Ai medici di famiglia, in questi tempi così difficili e persino cupi, chiediamo di aiutarci a recuperare le ragioni della nostra civiltà e la veste umana di uno Stato che non può ridursi ad essere una pura traccia di contabilità senza perdere la sua stessa ragione giuridica ed etica".