I Demokratici in difesa della Provincia di Crotone
Consideriamo un vero e proprio “delitto a sangue freddo” ai danni del territorio crotonese l’intenzione di abrogare l’Ente Provincia. La protesta contro questa scelta scellerata che, ipocritamente, è definita “riordino delle Province”, non è altro che la “legittima difesa” di un territorio del profondo Sud contro cui le classi dirigenti nazionali, hanno - nel corso dei decenni - consumato politiche economiche e sociali disastrose, penalizzanti ed al limite della tollerabilità democratica. Al punto da trasformare il nostro territorio, che vanta una storia plurimillenaria di grande ed inequivocabile prestigio, che ha al suo interno beni naturalistici e monumentali di rilevanza mondiale e che rappresenta, col suo prezioso bagaglio di lotte, un pezzo di democrazia sostanziale sia per la Calabria che per il Paese (ricordiamo che al referendum per la monarchia o la repubblica fu l’unica parte della Calabria a scegliere la democrazia) in un’area socialmente emarginata rispetto ai circuiti economici e politici nazionali. Oggi, dinanzi ai gravi dati statistici sul prodotto interno lordo del Crotonese, dinanzi alle drammatiche percentuali della disoccupazione, in
particolare giovanile, da cui attinge una criminalità sempre più diffusa e pervasiva, dinanzi alla perdita di peso specifico del territorio, iniziata clamorosamente con il processo di deindustrializzazione di un’area un tempo fortemente produttiva intorno a cui gravitava un’imponente classe operaia che ha contribuito a svecchiare le relazioni industriali, ci si aspetterebbe un’attenzione da parte del Governo di segno completamente opposto. Non certo l’abolizione di un Ente come la Provincia, che ha rappresentato una tappa del riscatto civile e democratico di un territorio che all’indomani del fallimento della riforma agraria e della vanificazione del suo ruolo industriale si è trovato isolato e senza le adeguate solidarietà nazionali indispensabili per affrontare le vecchie le nuove emergenze economiche e sociali.
Ma, proprio perché Governo “di tecnici”, quindi edotto sui crediti storici accumulati da questa parte importante del Mezzogiorno italiano, ci saremmo attesi, finalmente, una riconsiderazione strategica (anche nell’interesse del Paese) dello storico ed infelice rapporto centro-periferia, con investimenti mirati al rilancio dell’occupazione, anche in funzione di contrasto alla criminalità organizzata, e volti a colmare il deprecabile deficit infrastrutturale e insufficientemente attrezzato per affrontare le sfide di un economica globalizzata e sempre più competitiva. Ci troviamo, pertanto, dinanzi ad una riforma assurda che, vista con gli occhi delle donne e degli uomini di questo territorio, assume il tono di un’offesa intollerabile alla nostra dignità di cittadini costretti a vivere in un territorio che, a causa dei ritardi nello sviluppo e delle disattenzioni nazionali, non garantisce il rispetto degli stessi diritti costituzionali. In tal senso, bene ha fatto la Regione ad impugnare dinanzi alla Corte costituzionale il provvedimento del Governo.
Tutto ciò, naturalmente, non ingenera in noi un’accettazione passiva o peggio una rassegnazione acritica. Al contrario, siamo pronti a fare la nostra parte, con coerenza e fino in fondo, per contrastare una scelta che, riportando la geografia della Calabria allo status di due decenni or sono, provoca conseguenze sociali oltremodo nocive e pericolose per tutto il territorio, probabilmente non ben soppesate né dal Governo né dalle altre autorità politiche (partiti ed associazioni) ed istituzionali nazionali (in primis Camera e Senato). Una volta rappresentato per intero lo scenario dei rischi cui si va incontro, proprio ad incominciare da sabato 17 novembre con la manifestazione di popolo che non intende subire veri e propri diktat come questo, la nostra intenzione è quella di proseguire nella lotta per affermare, utilizzando ogni mezzo lecito, la nostra dignità ed il nostro orgoglio di crotonesi che non gradiscono di continuare ad essere considerati dallo Stato italiano figli di un “dio minore”.