Gianni Nucera (Sel): “Dati Istat allarmanti”
"Una fotografia allarmante dai dati Istat: tre milioni e 230 mila famiglie versano in condizioni di povertà relativa." E' quanto si legge in una nota di Giovanni Nucera, Vicepresidente del Consiglio provinciale Reggio Calabria. "Il dato dei poveri assoluti - prosegue la nota- invece, di quelli cioè che “non riescono ad acquistare beni e servizi per una vita dignitosa” viaggia sui 6 milioni e 20 mila unità: in soldoni un italiano su dieci. Di questi, tre milioni e 72 mila sono residenti al Sud Italia, un milione e 34 mila sono minori e 888 mila sono anziani. Nella nostra regione i poveri sono oltre 600 mila. Più di 400 mila i senza lavoro e nell’ultimo decennio è raddoppiato il tasso di disoccupazione. Un dato purtroppo storico: il 50% dei giovani non ha lavoro e faticherà a trovarne uno.
Stiamo pagando lo scotto della politica priva di capacità progettuale della Regione Calabria che non riesce a guardare nel suo insieme la complessità della problematica concernente sia la domanda che l’offerta di lavoro. Al di là dello sterile dato, da una parte vediamo chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro e che si trova lasciato solo prima di tutto per quel che attiene alla formazione. I nostri giovani sono stati definiti “inoccupabili” ma ciò è una responsabilità tutta politica che si vuole riversare sui giovani stessi, in maggioranza incolpevoli. I giovani dovrebbero essere accompagnati nel percorso formazione-occupazione. Ma questo oggi non accade a causa di un’offerta universitaria scollata dall’esigenze delle aziende, a causa delle scarse risorse economiche-organizzative per la formazione professionale e per le inefficienti politiche attive del lavoro. Allo stesso modo le riforme del lavoro non sono mai complessive né profonde. Si vedano per esempio i tentativi degli ultimi anni di investire sull’apprendistato, che prevede in cambio di agevolazioni contributive un periodo di formazione e lavoro per i giovani. Nonostante le agevolazioni il contratto di apprendistato non è mai decollato.
Altra faccia della medaglia, in un contesto di crisi economica, la politica ha ritenuto di dare impulso alle aziende scardinando i diritti dei lavoratori portando ad una flessibilità che di fatto si è tradotta in sempre maggiore precarietà. L’idea liberista di slegare le aziende dai lacci che ostacolano un veloce adattamento alle esigenze economiche dei mercati ha portato ad una caotica proliferazione di forme contrattuali con l’intenzione di garantire un risparmio all’azienda ma tutto a scapito del lavoratore. Paradossalmente, resta il fatto che il costo del lavoro in Italia è uno dei più elevati d’Europa. Nel meridione d’Italia tutti questi problemi sono amplificati da una realtà economica più povera e da una notevole carenza di cultura legalitaria. Lavoro nero, Working poor (lavoratori che pur lavorando restano poveri) ma soprattutto lavoro “grigio” cioè forme contrattuali legali ma distorte da una prassi di sfruttamento: lavoratori retribuiti part-time ma impiegati full-time, retribuzioni nominali presenti in busta paga ma mai erogate, dimissioni estorte, discriminazioni. Giovani laureati trasmigranti da callcenter scarsamente retribuiti o costretti a peregrinare di stage in stage senza risultati duraturi.
Il lavoro da diritto fondamentale sancito dalla Costituzione si è trasformato in una pallida illusione metafisica. Non possiamo permetterci questo depauperamento, dobbiamo ridare fiducia alle giovani generazioni, impiegare sul campo le loro competenze rispettando il diritto di ciascuno di poter pianificare un personale progetto esistenziale. “Giovani generazioni”, in realtà si tratta di una larga parte più che adulta il cui statuto di “gioventù” rimane tale perché non si riesce a offrire loro una vera e propria maturazione lavorativa. Che fare? Investire in innovazione, ricerca, formazione; approntare politiche di sviluppo e di sostegno; accelerare interventi su infrastrutture utili e necessarie; lavorare sui servizi; sostenere le start up; utilizzare in modo mirato e positivo i fondi europei fino adesso sciupati e mal gestiti dalla Regione Calabria, ma soprattutto garantire stabilità e diritti ai lavoratori. Un lavoratore “garantito” è un lavoratore che spende e che fa ripartire l’economia. Abbiamo bisogno - conclude Nucera - di un mutamento di segno, la politica stessa deve farsi “pratica politica”, declinarsi concretamente sulle problematiche quotidiane di cui si fa carico entrando a Palazzo, deve avere una visione che non si sclerotizzi su risposte emergenziali dell’oggi ma che proietti il suo sguardo verso il futuro."