Realizzare subito un nuovo stadio non è più un sogno ma una necessità improrogabile. I tempi sono dettati dalla Soprintendenza ai beni culturali e da una scadenza imposta all’inizio dei lavori di ristrutturazione dello “Scida”, tra polemiche, veleni, vincoli di ogni genere, rigide prescrizioni e ritardi imperdonabili.
di Giuseppe Romano | Trasferta Libera
Ora è schiacciante la pressione della Direzione Centrale del Ministero per i Beni culturali che intende esplorare l’intera area su cui è ubicato lo stadio, teatro del campionato di serie A.
Non vi è ancora una soluzione concreta, solo ipotesi e la ricerca di un “terreno” non gravato da beni archeologici, che si espandono a dismisura su tutto il territorio crotonese, e che non sia acquitrinoso.
Una riqualificazione dell’area industriale che potrebbe essere un centro d’interesse internazionale, come il Queen Elizabeth Olympic Park, realizzato, nella zona Est di Londra, sede d’industrie molto inquinanti ormai dismesse da qualche tempo. Un’operazione di rigenerazione urbana indotta dai giochi olimpici del 2012.
Un progetto fattibile tecnicamente per l’ingegner Antonio Bevilacqua, collaudatore di un impianto pilota nello stesso sito, funzionante già da vent’anni, già oggetto di relazione scientifica sui rifiuti solidi.
Sul piano scientifico, invece, cosa potrebbe emergere come contrasto? Lo chiediamo al dottore Franco Rocca, ex responsabile del Servizio di prevenzione, igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro dell’Asl di Crotone, promotore di questa soluzione nel 2001, e correlatore al seminario mondiale “1° International Conference on Solid Waste-Technology, Safety, Environment” del 7 aprile 1999.
“Come sempre, bisogna tirare le somme tra quello che si lascia lungo la strada e quello che si guadagna come condizione di vivibilità e soluzione radicale della bonifica. In questo momento si sta discutendo molto sui criteri di come si misura il benessere di una comunità e potrebbe essere un grosso ritorno. Basti pensare al decongestionamento del centro di Crotone, in occasione delle partite di calcio e al recupero di un sito che appartiene alla periferia della città”.
“È chiaro che, dal punto di vista dei controlli da fare, si allungano i tempi della bonifica, quando si fa un conteggio sul punto di vista ambientale globale. Si è discusso molto della discarica di servizio (Giammiglione) o se conferire fuori regione oppure dall’Italia l’eventuale scorticamento del terreno e il successivo riempimento attraverso lo sbancamento di qualche collina di nostra appartenenza, che significa la modifica del profilo orografico del territorio”.
“Non so se questo sia un guadagno oppure una perdita. In ogni caso, fra i costi di una messa in sicurezza o di una bonifica integrale, se una di queste operazioni va a vantaggio solo ed esclusivamente dell’ENI nessuno ci sta, come collettività. Se la collettività ha un ritorno come la realizzazione dello stadio o di altre strutture funzionali, allora se ne può discutere. È chiaro che si devo essere nelle condizioni di cedere qualcosa alla controparte, in tal caso ENI, per pretendere altre cose di utilità collettiva”.
I terreni in discussione non sono radioattivi e l’incidenza tumori a Crotone non è strettamente legata al sito, ma un fatto più genetico-generale, che rientra nella media nazionale.
“Sotto quest’aspetto è da fare delle distinzioni, vedere se settanta anni d’industria hanno portato modifiche sostanziali. Più volte ho rilevato che in realtà industriali storicamente sovrapponibili, come Crotone, l’epidemiologia ha descritto un aumento della patologia neoplastica ad appannaggio del sesso maschile, nel senso che le maestranze di quella tipologia di aziende erano essenzialmente maschili, con pochissima manodopera femminile. In quel caso si formulava un’ipotesi, solo esclusivamente ipotesi, di danno occupazionale, per esposizione professionale”.
“Quando invece questa incidenza della patologia neoplastica colpisce in egual misura il sesso maschile e femminile e, soprattutto, se c’è in età pediatrica, allora l’ipotesi che si formula è un danno ambientale generico o genetico, non accusabile per esposizione professionale. Nel nostro caso, considerato che i terreni del sottosuolo dell’area ex industrie sono contaminati da sostanze chimiche non radioattive, impedirne la loro diffusione è già una bonifica, come risulta dall’impianto pilota di due ettari di terreno, all'interno del sito, funzionante da venti anni”.
La realizzazione di uno stadio nel cuore delle industrie dismesse sarebbe la testimonianza di una città che vuole cose concrete. La soluzione sostenuta dall’ingegner Bevilacqua e dal dottor Rocca, evidenzia la fattibilità del progetto e il definitivo risanamento del sito, in tempi brevi e a totale carico dell’ENI.
“Sì. La messa in sicurezza di un’area di tipo ex Enichem e Agricoltura allunga il periodo di sorveglianza d’attenzione perché, comunque, per fatti naturali si arriverà alla fase in cui la falda acquifera s’intende bonificata quando nel terreno non c’è più traccia d’inquinante, per cui la natura fa il suo corso, e bonifica per fatti suoi. Bisogna fare un altro tipo di attenzione, l’inquinante in questo momento è nella falda, nel terreno e fondale marino. In questo caso, il fondale marino non ci interessa”.
“Si sta parlando di una parte localizzata, circoscrivibile, che con una particolare perimetrazione, attenta e in profondità, si potrebbe isolare completamente. L’attenzione che devo porre, nel momento che faccio movimentazione terra e si va a scavare con mezzi meccanici: come saranno le condizioni meteoriche? In tal caso, si devono prendere le dovute precauzioni, consapevoli che s'innalza il rischio ma resterebbe un virtuoso esempio internazionale”.
Il materiale contaminato resterebbe lì, considerando che la struttura è sopraelevata: una tipologia di contenimento che non andrà più rimosso, a rischio zero. Segnerebbe la fine dei “veleni” e della polverizzazione di denaro per lavori proiettati da qui a trenta o quarant’anni.
“Ed è un tipo d’intervento possibile. Per quanto riguarda la messa in sicurezza abbiamo la fortuna che esiste già l'impianto pilota. Ora va analizzato per verificare se quella tipologia d’intervento è stata efficace a non far emigrare gli inquinanti del sottosuolo in altri siti. È questo il concetto della messa in sicurezza: lasciare dove sono le sostanze inquinanti e impedire la loro emigrazione, con la consapevolezza che la movimentazione e la rimozione possono peggiorare lo stato delle cose. Chiaramente, i vari interventi vanno approfonditi, soprattutto dove sarebbe necessario andare in profondità anche se in zone molto circoscritte e ridurre l’area dove necessita una bonifica integrale”.
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