Storie di “normale” malaburocrazia: chi ha interesse a non far decollare il Porto di Crotone?

3 luglio 2018, 08:04 Il Fatto

Una storia di ordinaria “perversione burocratica”, protagonisti un imprenditore locale e l’Ente portuale di Gioia Tauro. Lo scenario è il porto di Crotone, una struttura chiave per l’intera geografia del Mediterraneo ma mai davvero decollata; un po’ come la città in cui si situa.


di Gianfranco Bonanno

Materia del contendere: una banchina (inutilizzata) del Porto nuovo. I protagonisti: da una parte, una società norvegese, la Wesmans Ship Services, leader nei servizi navali, che sposa il progetto di un imprenditore crotonese deciso a valorizzare un molo in disuso con un’attività di cantieristica navale unica in Regione.

Dall’altra, un’azienda metalmeccanica locale interessata anch’essa alla concessione demaniale; in mezzo, una dozzina di enti pubblici, centrali e periferici, a vario titolo competenti su quella lingua di cemento e sul prospiciente specchio d’acqua.

In questa vicenda non sono importanti tanto i nomi, quanto i fatti. Che si commentano da soli.

Crotone Naval Servicesstart up calabro-norvegese costituita nel settembre 2012 su indicazione della stessa Autorità portuale di Gioia Tauro, che aveva collaborato alla stesura degli elaborati progettuali - avvia le pratiche necessarie ad acquisire la concessione della banchina.

L’idea è di rilanciare la struttura, fino a quel momento in stato di abbandono, per farne un punto di assistenza alle tante navi mercantili che scorrazzano per il Mediterraneo.


Dal Piano Porti al salvagente per un territorio stabilmente sott’acqua


Il progetto ha senso economico e intercetta pienamente la ratio del neonato Piano Porti, varato in quei giorni dal ministero dei Trasporti con l’obiettivo di valorizzare il demanio marittimo.

Ma, soprattutto, l’iniziativa rappresenta un formidabile volano per l’occupazione e l’economia locale: un provvidenziale salvagente per un territorio stabilmente sott’acqua.

Crotone è un approdo naturale per chi naviga in quel bacino; e uno scalo attrezzato – e concorrenziale in termini di prestazioni specializzate – è utile non solo agli armatori, interessati a ottimizzare tempi e costi di manutenzione delle proprie navi, ma anche a un comparto produttivo che da queste parti stenta da sempre a decollare proprio per l’assenza di un vero disegno industriale.

Tuttavia, nonostante le ottime premesse, il via libera alla realizzazione del progetto ristagna. Dopo il primo parere contrario manifestato dall’Agenzia delle Dogane, che rivendica la disponibilità dello spazio portuale malgrado l’inutilizzo, e il conseguente diniego all’autorizzazione da parte dell’Autorità portuale, entra in scena il Tar di Reggio Calabria, al quale nel frattempo avevano ricorso entrambe le società interessate.

Due sentenze - del 2013 e del 2014 - non bastano però a mettere la parola fine alla controversia. La palla torna a Gioia Tauro, che deve indire una gara tra i due competitor.


Il forfait dei norvegesi per le incomprensibili “logiche” calabresi


L’ente continua a convocare Conferenze di servizio, al cui tavolo siedono i rappresentanti dei vari enti pubblici di riferimento. Tutti intenti a interpretare, ma non a decidere.

Il partner norvegese, poco avvezzo alle “logicheitaliane (e calabresi in particolare), decide di dismettere la sua partecipazione azionaria. Per Roberto Proto, ideatore del progetto e amministratore della società, sono giorni di panico. Superati con determinazione con l’ingresso di un nuovo socio, questa volta locale, che possiede tutte le risorse necessarie per svolgere l’attività di cantieristica.

Intanto, dopo sei anni di battaglie giudiziarie e la desistenza del competitor, nel novembre 2016 la CNS acquisisce l’agognata concessione.

Un provvedimento rilasciato con riottosità dall’Autorità portuale, visto che assegna gli spazi acquei omettendo di liberarli dai pescherecci che abitualmente vi ormeggiavano.

Incombenza a cui attende CNS, che si fa anche carico dei costi relativi allo smaltimento dei rifiutitossici – ivi accumulatisi nel tempo. Diniego assoluto, poi, per i necessari allacci di servizio (acqua e corrente elettrica) sul molo, a cui CNS sopperisce con autobotti e generatori.

Addirittura neppure il sorvegliante notturno, nel frattempo assunto dalla CNS con regolare contratto, per mesi non è stato autorizzato a entrare in banchina.


Una strada sempre più erta, tra ostracismo e denunce “sorde”


Insomma, per l’impresa crotonese la strada si fa ancora erta, grazie a un ente che dovrebbe, se non facilitare, almeno ottimizzare il funzionamento delle strutture portuali.

L’ostracismo dell’Autorità di Gioia Tauro aumenta in proporzione alla pervicacia del patron di CNS. Il quale si vede costretto a inoltrare una denuncia cautelativa alla Procura di Crotone, per responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro, quando si accorge che su un mercantile ormeggiato alla “sua” banchina operano tecnici della ex impresa concorrente.

Tuttavia né l’Autorità né la Procura intervengono con la tempestività richiesta, consentendo il completamento dei lavori durati circa trenta giorni.

Un paio di mesi fa, la ciliegina sulla torta. L’Autorità comunica a CNS l’avvio della procedura di revoca della concessione adducendo come causa risolutoria “la sosta inoperosadi alcune navi, motivazione palesemente pretestuosa e smentita nei fatti dalla stessa Capitaneria di Porto, che in un documento definisce “sosta tecnica” l’ormeggio prolungato delle suddette.


La guerra tra poveri. "Fare sistema" è sempre un motivo di sospetto


Insomma, è una guerra tra poveri ammantata di malaburocrazia, assurta agli onori della cronaca più per disperazione che per spirito di denuncia.

È il perfetto paradigma dei mali di questa terra, dove “fare sistema” è ancora qualcosa da guardare con sospetto: un gap culturale che svilisce ogni slancio produttivo.

D’altra parte, anziché favorire le (rare) iniziative economiche di coloro che ancora credono nella forza del territorio, il decisore politico appare lontano e inerme di fronte agli apparati amministrativi e di nomenklatura.

A patirne i danni è innanzitutto la comunità. Una comunità orgogliosa della propria identità storica e culturale, eppure costantemente mortificata dalle nefandezze di un apparato regionale che sembra quasi “temere” lo sviluppo della città ionica.

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