Il dibattito nazionale negli ultimi anni si è sempre più focalizzato sul ruolo dell’Europa, ed oggi è campo di battaglia aperto tra le principali forze politiche. C’è chi l’Europa la vuole e chi no, e le posizioni urlate quando in TV quando online si ripercuotono anche nelle piccole realtà come Crotone. Ed è quantomeno curioso notare che se da una parte critichiamo l’Europa, dall’altra o ci emigriamo o cerchiamo di sfruttarla oltre i limiti.
di Francesco Placco
In vista delle prossime elezioni europee del 2019, il Parlamento Europeo ha lanciato una serie di iniziative nel tentativo di coinvolgere la popolazione a votare.
Oltre al progetto “Stavolta voto”, è stato lanciato anche un portale dal nome emblematico: What Europe does for me? (QUI). Cosa fa l’Europa per me?
È una domanda ricorrente ad ogni latitudine del vecchio continente, dove le zone più periferiche si chiedono costantemente cosa sia questa Europa, e come contribuisca realmente e concretamente alle proprie vite.
L’idea era interessante, ma il portale lanciato rischia di non rispondere ad alcuna domanda: prendendo in esempio la città di Crotone, sono stati inseriti solo quattro progetti cofinanziati dall’Europa, tra cui il riconoscimento DOP del vino di Cirò ed uno studio sulle poseidonie dell’Area Marina Protetta.
Un’immagine sommaria degli investimenti che avvengono in tutta la Calabria da parte dell’Unione Europea, che rischia di peggiorare l’idea dell’Europa nel comune cittadino.
Aldilà del portale però gli investimenti ci sono, ma i problemi restano gli stessi, uno su tutti la lentezza della spesa dei fondi comunitari.
Non è un problema solo crotonese, che sin dal POR 2007-2013 registra continui ritardi nella spesa dei fondi comunitari indipendentemente dal sindaco, ma regionale: dopo la “bocciatura” del 2017 (LEGGI) arriva anche la “bocciatura” del 2018 (LEGGI) del bilancio regionale.
Nonostante i passi avanti, con tanto di istituzione del portale CalabriaEuropa (QUI) che ben evidenzia la suddivisione degli assi di finanziamento e di spesa, i fondi continuano a rimanere fermi, con il rischio che a scadenza bando vadano restituiti.
Secondo Il Sole 24 Ore (QUI), sono stati avviati progetti ed interventi per un totale tre miliardi e mezzo, di cui uno e mezzo finanziato direttamente dall’Europa. Progetti che riguardano opere pubbliche ma anche ricerca, sviluppo e valorizzazione del territorio.
Oltre alla lentezza della spesa dei fondi comunitari – sia da parte dei Comuni che da parte della Regione – c’è da registrare un altro mal costume: quello delle truffe.
Nel 2017 la Calabria si è confermata prima regione per numero di tentativi di truffa ai danni dell’Unione Europea, con ben 305 proposte ritenute fraudolente, per un totale di circa 43 milioni di euro.
Un primato, ed un demerito, tutto nostro.
Insomma, l’Europa c’è, i fondi ci sono, è che forse li spendiamo male o non li spendiamo proprio. Chi ne beneficia non lo sbandiera ai quattro venti, e l’idea generale è che l’Europa sia un’istituzione macchinosa, difficile, che ci complica le cose, indipendentemente da tutto.
Viene semplificato un discorso molto complesso, che con tutti i suoi limiti cerca di funzionare, ed in altre parti del mondo ci riesce eccome.
Ed infatti, sono le “altre parti del mondo” quelle che scelgono i crotonesi ed i calabresi per vivere. Quelle dove “le cose funzionano”, e dove ogni anno si trasferiscono – temporaneamente o per sempre – decine di migliaia di conterranei.
Intere famiglie che, impossibilitate a vivere in Calabria, scelgono di emigrare compatte verso realtà più solide, più serie.
E la maggior parte di questi, alla fin dei conti, non può che approdare in Europa, in quei grandi o piccoli centri dove “si può vivere”, e dove fondi e finanziamenti non rischiano di tornare indietro bloccando progetti e lavori.
Se è vero che l’Europa ha bisogno di cambiare, è altrettanto vero che l’atteggiamento delle istituzioni – specialmente quelle meridionali, ed in particolare quelle Calabresi – è sbagliato e dannoso. Miope. A partire dalla poca trasparenza, dato che buona parte dei comuni parla di “finanziamenti comunitari” senza poi fare i dovuti resoconti.
Di questo passo l’Europa continuerà ad essere vista solo come una terra dove andare a lavorare o viaggiare e non come l’unione (sì, quasi esclusivamente economica) di più paesi verso un sistema solido e collaudato.
Un sistema che suona come una vera e propria minaccia ai “sovranisti” della prima e dell’ultima ora, che nell’accusare le distanti e astruse istituzioni europee dimenticano sempre di fare i conti con le realtà locali.