La protesta degli allevatori: ma invece di piangere sul latte versato perché non lo compriamo?

22 febbraio 2019, 16:07 Imbichi

La protesta degli allevatori sardi si è diffusa in tutta Italia, ed è giunta fino a Crotone. Anche qui gli i loro colleghi rivendicano un adeguamento del prezzo del latte, ricordando la condizione precaria nella quale resistono – a fatica – centinaia di imprese che contano oltre 200 mila capi di bestiame.


di Francesco Placco

Il gesto è eclatante, ma per quanto drammatico si è reso necessario anche a Crotone, dove decine di allevatori si sono incontrati prima il 20 (LEGGI) e poi il 21 (LEGGI) febbraio scorsi per sversare a terra centinaia di litri di latte ovino.

Una protesta che ha scatenato le ire di molti commentatori e passanti, che avrebbero preferito vedere quel latte regalato piuttosto che sprecato.

Ma il messaggio deve arrivare in modo chiaro ed inequivocabile: è più conveniente buttarlo che venderlo. Una protesta che accompagna gli allevatori sin da tempi remoti, e che più volte nel corso degli anni è saltata agli onori delle cronache.

Quest’ultima crisi infatti è iniziata nel 2018 (QUI), ed ha portato ad un progressivo calo del prezzo di acquisto del latte in tutta Italia. Prezzo stanziatosi, nel mese di gennaio, ad appena 60 centesimi al litro.

Le motivazioni di questo tracollo sembrano essere facilmente accertabili (QUI), e riguardano una eccessiva produzione di latte e derivati a fronte di una minore esportazione del prodotto. Nel solo 2018 l’esportazione di formaggi pecorini prodotti in Italia è calata del 46%, con importanti ripercussioni che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

La “colpa di questa situazione è spesso identificata nel “latte straniero”. Paesi come Bulgaria e Romania – ma anche Francia e Spagna – nel corso dello scorso anno sono riuscite ad aumentare le loro esportazioni di prodotti caseari a base di latte ovino e caprino, occupando un’importante fetta del mercato.

Gli allevatori chiedono un adeguamento del prezzo del latte, da portare, per ora, almeno ad 80 centesimi al litro, per poi salire ad un 1 euro.

Gli industriali invece, quantificando il costo dell’operazione, parlano di un investimento di oltre 25 milioni di euro (QUI) senza alcuna garanzia di ritorno. Che fare, in situazioni complesse come queste?

Situazioni che vedono un’ulteriore parte in gioco, ovvero i consumatori, noi comuni cittadini: spesso troppo attenti a risparmiare qualche euro fino a preferire “il meno caro” a prescindere.

Un atteggiamento non sempre collegato alle necessità economiche, che contribuisce ad abbassare la percezione del costo e dunque del valore di un bene, sminuendo in primis le produzioni locali.

La risoluzione del problema, dunque, potrebbe giungere anche dalle nostre scelte alimentari. In fondo, il mercato siamo noi, ed il modo più concreto e diretto per “aiutaregli allevatori è comprare i loro prodotti. Anche se questi costano qualcosina in più.