Gioventù Bruciata da Covid-19. Oltre il reddito di cittadinanza un ragionato ritorno all’ex legge 285 per dare lavoro ai giovani

19 agosto 2020, 15:45 100inWeb | di Vito Barresi

Un codice maledetto, un numero che sembra un brutto tatuaggio sul braccio di un’intera generazione di giovani. La pandemia Covid-19 ha profondamente scosso molti equilibri basilari della vita sociale europea fino a ieri ritenuti infrangibili, quasi immutabili. Bisogna individuare nuove politiche di sviluppo e di piena occupazione per tanti ragazzi che rischiano di essere esclusi per sempre dal mercato del lavoro e dal loro stesso futuro. Perché non rivedere con le dovute attualizzazioni l’Anselmi-De Vito dei lontani anni ’70, la famosa ex legge Anselmi-Scotti, più popolarmente conosciuta come 285?


di Vito Barresi

Il vento doloroso della tragedia, il diffondersi a ondate dell’epidemia virale ha sconvolto prima di tutto la mappa della vita, quella che Peter Lasslet aveva descritto come una vera e propria rivoluzione nella piramide generazionale, l’era della terza e quarta età, colpendo duramente non solo nel suo vertice anziano ma anche e nella sua base giovanile, laddove sono collocate le fasce tra infanzia, adolescenza e gioventù.

Non è solo un’impressione di contesto bensì una constatazione sociologicamente e accuratamente “raccontata” in un approfondito report, in cui sono stati raccolti i dati di un’inchiesta sociale denominataGlobal Survey on Youth e Covid-19”, realizzata da Global Initiative on Decent Jobs for Youth1 tra aprile e maggio 2020.

Quella del 2020 passerà alla storia come una maledetta primavera per i giovani, le donne, gli studenti, persino gli alunni delle scuole primarie, i precari, i lavoratori costretti forzatamente allo smart working, i poveri e i gruppi sociali più svantaggiati non solo economicamente ma anche relazionalmente (LEGGI QUI)

La pandemia ha avuto un effetto devastante, sistemico, profondo e socialmente asimmetrico, con una forte accentuazione di ogni tipo di diseguaglianza e disparità.

Global Survey ha rilevato gli effetti pesanti del virus sulla vita dei giovani tra i 18 e i 29 anni, rilevando preoccupanti scostamenti negli standard minimi di occupazione, istruzione, benessere mentale, diritti e attivismo sociale.

I ricercatori hanno esaminato ben 12.000 risposte provenienti da 112 nazioni, effettuate su un vasto segmento di intervistati, con una percentuale elevata di giovani istruiti e di quanti utilizzano internet.

Tra i giovani che studiavano a tempo pieno o a part-time studio e lavoro prima del coronovirus, tre quarti, cioè il 73%, ha sopportato chiusure scolastiche, con una percentuale abbastanza elevata di dispersione per via di una incapacità a utilizzare l’apprendimento online e a distanza.

Uno studente su otto, il 13%, non ha avuto accesso ai corsi e alla formazione, specialmente nei paesi a basso reddito, a conferma del cosiddetto “digital divide”, cioè l’enorme divario tecnologico ed elettronico e tra le regioni.

Il 65% dei giovani ha confermato di aver appreso molto di meno dall'inizio della pandemia, mentre il 51% pensa che la propria istruzione subirà un forte ritardato e il 9% ha paura che il proprio percorso formativo subirà un arresto e potrebbe addirittura concludersi con una sconfitta e un ritiro.

Ma la pandemia sta colpendo anche i giovani lavoratori, perché ha danneggiato molti posizioni occupazionali, ridimensionando gli impieghi e le prospettive di carriera.

Un lavoratore giovane su sei, il 17%, prima occupato durante l'epidemia è stato messo alla porta dal suo titolare, in particolare quelli tra i 18 ei 24 anni; occupati in mansioni di collaborazione d'ufficio, servizi, vendite, artigianato e attività correlate sono stati espulsi dal ruolo attivo mente altri hanno subito una netta riduzione dell’orario, che tra i giovani occupati è diminuito di quasi un quarto (ovvero di una media di due ore al giorno), mente due giovani su cinque, il 42 per cento, lamenta una consistente contrazione del proprio reddito.

Governi, politica, sindacati, società e istituzioni devono prendere rapidamente coscienza del gravissimo pericolo che incombe su intere generazioni che rischiano di trasformarsi in un gigantesco esercito di esclusi, dropout loro malgrado, condannati in uno stato di gioventù bloccata e senza crescita.

Ovunque in Europa bisogna individuare “risposte politiche urgenti, su larga scala e mirate per proteggere un'intera generazione di giovani dal vedere le loro prospettive occupazionali permanentemente segnate dalla crisi”.