Moda e specie protette. Stop al traffico illegale di scialli di lana di antilope tibetana
Il traffico illegale di articoli realizzati o confezionati con prodotti animali o vegetali derivati da specie protette produce guadagni astronomici e coinvolge la moda del lusso.
Accessori di lusso in pelle di animali esotici in via di estinzione, sono ancora molto diffusi, soprattutto in Italia, patria delle griffe di maggior grido del mondo e paese tra i massimi importatori di pelli. Un fenomeno, quello del traffico di specie protette destinate all’industria della moda, in netta crescita. Si tratta di un commercio planetario che coinvolge mercanti senza scrupoli e produce guadagni astronomici. Del resto, nel suo complesso, il giro d’importazione degli animali esotici protetti dalla Convenzione di Washington è più fiorente che mai e si alimenta di un traffico sommerso gestito dalla malavita organizzata.
Il volume d’affari che ruota attorno a questo commercio illegale ammonta a parecchi milioni di euro, tanto da piazzarsi al quarto posto quale mercato illegale dopo quelli di droga, armi ed esseri umani, con un giro d'affari di 23 miliardi di dollari l'anno, gestito spesso dalla criminalità internazionale a danno dell’ambiente, e non di rado per finanziare movimenti terroristici. Una realtà inquietante e ancora poco nota all’opinione pubblica. Basta leggere i più recenti casi di cronaca per rendersene conto.
E' notizia di oggi che quest'inverno sono state sequestrate al confine con l'Italia, prodotti di lusso illegali, in particolare sciarpe fatte di lana detta" shatoosh " di antilope tibetana, una specie altamente protetta. L’operazione conferma che l'Italia è "un mercato di sbocco per questi prodotti" anche se multe salate puniscono l’importazione illegale di questi scialli. Per confezionare una scialle di pura lana Shatoosh, il cui valore varia fra i 3'000 e i 10'000 euro, bisogna uccidere tra le 2 e le 5 chiru. Questo è il nome dell'antilope tibetana che è un bovide di medie dimensioni, alto al garrese circa 1,2 metri.
Il chiru ha sul petto e sulla gola un sottopelo finissimo, sottile una decina di micron, il 30% meno della seta e il 50% in meno della lana, nonche’ 8 volte piu’ sottile del capello umano medio. Questo pelo non e’ mai stato considerato utile a scopo tessile, perche’ troppo sottile, fino a che non e’ venuto nelle mani degli espertissimi tessitori del Kashmir e dell’attigua regione di Jammu, allenati a tessere la pashmina, la lana finissima di una capra che vive da quelle parti. Fino a qui, pero’, ancora tutto bene, perche’ venivano tessute e prodotte solo poche sciarpe, per le famiglie di alto rango: la stoffa che se ne ricava, detta shahtoosh, e’ cosi’ morbida e sottile che una intera stola puo’ passare attraverso una fede matrimoniale.
Sshahtoosh in persiano significa “calore del re”. Poi arrivarono, nel XVIII e soprattutto XIX secolo, gli occidentali, che scoprirono questo tessuto straordinario e, come sempre, ne fecero un business. Negli anni ’80 del XX secolo esplose la moda: non eri nessuno, se non potevi permetterti una stola di questa lana, prezzo base da 2000 a 8000 dollari: nessun V.I.P. avrebbe potuto resistere al richiamo e vivere senza. Il problema e’ che il chiru non si puo’ allevare e non si puo’ tosare poichè morirebbe di freddo. Non si puo’ raccogliere a mano il pelo naturalmente perso dagli animali in primavera, perche’ viene disperso dal vento. Per avere il pelo, bisogna uccidere gli animali.
Per tessere una sciarpa media da donna (1×2 m) del peso di 100 g sono necessari circa 3-400 g di lana grezza. Da un’antilope si ricavano circa 150 grammi di pelo. Occorre quindi il pelo di tre chiru. Per una sciarpa da uomo (3×1.5 m) occorre invece il pelo di 5 animali. Ad un recente sequestro in india, sono stati trovati 250 kg di lana shahtoosh. Il numero di antilopi tibetane e’ andato quindi di colpo drammaticamente diminuendo. Si calcola che ogni anno ne vengano uccisi circa 20.000, e che al momento ne restino solo 75.000, o meno. Siamo insomma sulla strada per replicare quello che successe al colombo migratore americano: all’attuale tasso di uccisione, tra meno di cinque anni la specie sara’ estinta.
Dal 1979 la specie e’ protetta dalla convenzione CITES che ne blocca l’esportazione e il commercio delle pelli e dei manufatti, ma il problema sono i bracconieri, che uccidono gli animali in Tibet e li fanno passare attraverso il Nepal alla volta del Kashmir e di Jammu, dove vengono tessuti, e poi venduti agli occidentali. Da poco tempo anche la Cina ha messo un bando all’uccisione, vendita ed esportazione dell’antilope. In India qualunque attivita’ collegata al chiru e’ vietata e, se scoperta, severamente punita. In Kashmir invece, essendo una “regione a statuto speciale” non e’ illegale tessere questa lana ma tutti i prodotti devono essere dichiarati e corredati di certificato, pena 6 anni di carcere. Del resto i tessitori possono tranquillamente tessere la pashmina, che e’ bella ugualmente e costa altresi’ un occhio.
Si pensa anche di mettere una specie di marchio DOC alle pashmine del Kashmir per proteggere e aiutare i tessitori, in modo che non si vendano al mercato illegale. Del resto, un bracconiere ricava circa 50 dollari per ogni animale ucciso. Un grossista di shahtoosh, che rischia la galera, per un chilo di lana, prodotta da circa10 animali, guadagna circa 1200 dollari. Per una stola, in occidente, si e’ arrivati a pagare anche 17.600 dollari circa 12.000 euro, il costo di un’utilitaria. Come sempre, il vero giro di soldi e’ qui da noi. Il bilancio delle operazioni è inquietante, osserva Giovanni D'Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, tanto più quando si pensa che per la confezione di uno scialle di pura lana shahtoosh bisogna uccidere diverse antilopi. Le partite illegali di queste pelli pregiate finiscono in maniera massiccia nell’indotto della moda legale grazie all’utilizzo di falsi certificati Cites che consentono di avere un margine di guadagno enorme. Gli acquirenti sono disposti a sborsare diversi migliaia di euro per uno scialle in shahtoosh, che è considerata la lana più soffice, più pregiata e più calda del mondo, non a caso indossata pubblicamente anche da qualche nostro politico.