Famiglia e modernità. Sette dialoghi alla luce del sinodo dei vescovi
Nell’ambito del progetto “famiglia e modernità; sette dialoghi alla luce del sinodo straordinario dei vescovi”, promosso dall’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace e attuato dal Movimento Apostolico, si è svolto alle ore 18 di giorno 19 febbraio, presso la Sala della Cultura “Vincenzo Calderazzo” della Provincia di Catanzaro, la conferenza “Il progetto infranto e la via della riconciliazione” tenuta dal biblista don Edoardo Palma.
Don Gesualdo De Luca, assistente regionale del Movimento Apostolico, ha introdotto i lavori, evidenziando le ferite che le famiglie sopportano, la necessità per la comunità ecclesiale e civile di prendere a cuore le loro difficoltà, venendo incontro al desiderio di pacificazione che ciascuno porta nel cuore, come ci esorta papa Francesco.
Proprio all’individuazione di vie di riconciliazione è stata dedicata la relazione di don Edoardo, che ha percorso il testo biblico, non fermandosi al solo senso letterale ma a quello sapienziale. La Scrittura infatti nelle prime pagine del Libro della Genesi ci offre il progetto del Signore sulla famiglia. Ma ci presenta anche la sua rottura a causa del peccato dell’uomo che introduce nella storia tanta sofferenza: omicidio, poligamia, non riconoscimento della dignità della donna, arroganza e violenza.
È una situazione che ognuno di noi vive sulla propria pelle e che san Paolo, nella Lettera ai Romani descrive in termini lapidari: tutti gli uomini sono sotto il dominio del peccato; ogni uomo, fin dalla nascita è segnato da una natura fragile, incapace di compiere tutto il bene che Dio vuole. Alza pertanto un grido: “Chi ci libererà da questo corpo di morte?”. Ma subito dopo il grido si trasforma in inno di lode: “Siano rese grazie a Dio per il suo Figlio Gesù Cristo”. Grazie a Cristo infatti siamo “giustificati per grazia”. Per la fede in Cristo avviene il passaggio dal progetto infranto alla ricostituzione del progetto, dall'ira alla giustificazione, alla pace.
La fede, secondo Paolo, è adesione piena e consapevole all'annuncio del vangelo: è fiducia ma anche obbedienza. Accogliendo Cristo come verità per la nostra vita quotidiana nasce la speranza.
Siamo di nuovo riconciliati. Col il peccato siamo usciti dal progetto, con la fede entriamo nella pace. Ma non ci può essere pace e riconciliazione senza la pace con Dio, rientrando nella verità perduta.
Concretamente: la vita umana è segnata dalla sofferenza, dalla tribolazione. La fede ci dice come vivere la sofferenza, perseverando nella giustizia. Per Paolo ci possiamo “vantare nella sofferenza” perché genera in noi la dokimé (le virtù provate): la sofferenza tempra l'uomo e lo rende affidabile (dokimoòs). È proprio questo che manca oggi: la prontezza per affrontare la sofferenza. Senza di essa c'è il naufragio nelle varie situazioni della vita, anche in quella familiare. San Paolo ci dice che solo in Cristo è possibile diventare affidabili e vivere le difficoltà della vita, divenendo capaci, nella potenza dello Spirito Santo, di essere come Cristo che imparò l'obbedienza dalle cose che patì e divenne perfetto nella sua umanità (cf. Lettera agli Ebrei). Il cammino della perfezione dell’umanità che ogni uomo, dall’antichità ad oggi insegue, si ha solo in Cristo, accogliendo il quale, grazie allo Spirito Santo, l’amore di Dio viene effuso nel nostro cuore. Lo Spirito ci fa vivere tutto l'amore possibile, che tutto spera, tutto sopporta (cf 1 Cor 13).
Anche il progetto matrimoniale si può vivere se c'è l'amore di Dio. Ma l'amore va accolto per esserne trasformati. La via della riconciliazione appare chiaramente indicata: tornare a Dio attraverso la fede in Cristo, per vivere, mediante la forza dello Spirito Santo, tutta la potenza dell’amore nella storia, a cominciare dalla famiglia.