Istruzione. L’Altra Europa e Prc: “Uniti per il ritiro della Buona scuola di Renzi”
“La “Buona scuola” ha l’unico merito pedagogico di rappresentare un esempio straordinariamente incisivo di ossimoro. Questa riforma è il compimento di un lungo processo di aziendalizzazione della scuola e rappresenta una radicale inversione dell’idea dell’istruzione che avevano i nostri costituenti, delle esigenze a cui dovrebbe rispondere un sistema scolastico pubblico e universalmente accessibile.” È quanto si legge in una nota congiunta di Francesco Campolongo, Assemblea Nazionale L’Altra Europa e Francesco Saccomanno, Segretario Provinciale Prc Cosenza.
“Il sistema scolastico italiano – prosegue la nota - è afflitto da vari mali: docenti meno retribuiti d’Europa, classi pollaio, scarsa sicurezza degli istituti, dispersione scolastica in aumento, quota del Pil dedicata all’istruzione tra le più bassa d’ Europa, precarietà per molti lavoratori e potere dispotico da parte dei dirigenti scolastici. Se volessimo brutalmente semplificare questo quadro complesso potremmo dire che ci vogliono risorse, stabilità e collegialità decisionale per mettere nelle condizioni il mondo della scuola di fare bene il proprio lavoro. Non bastasse questo, da anni i docenti italiani sono costretti beffardamente a garantire la loro funzione fondamentale nella crescente povertà di risorse mentre, contemporaneamente, sono oggetto di una retorica che li descrive come “fannulloni” che temono la meritocrazia. Le falle sistemiche vengono scaricate sui singoli lavoratori che diventano capri espiatori del crescente malcontento verso la scuola.
La Buona scuola renziana non risolve nessuno dei problemi precedentemente indicati – si legge ancora - ma rappresenta un ghiotto regalo a Confidustria. Una riforma che non mette un centesimo in più rispetto ai tagli della Gelmini, che dilata a dismisura i poteri dei dirigenti scolastici che potranno addirittura assumere in maniera diretta i docenti e che aumenta i finanziamenti alle scuole private ignorando il dettato costituzionale che esplicita che la parità tra istituti scolastici pubblici e privati può avvenire solo senza oneri a carico dello stato. La scuola diventerà una caserma in miniatura in cui un ducetto potrà decidere nuove assunzioni, comminare sanzioni e pilotare valutazioni. Non serve andare lontano nel tempo e nello spazio per capire cosa potrebbe comportare tutto ciò. Oggi, a Cosenza abbiamo esempi tristemente noti di dirigenti scolastici che pensano addirittura che i corsi di recupero possano essere privatizzati, che gli alunni e i docenti possano essere minacciati e intimoriti. In un territorio in cui alcuni dirigenti scolastici sono diretti referenti di potentati politici locali concedere loro la possibilità di assumere direttamente insegnati (e altro), senza rifarsi a procedure imparziali e oggettive, vuol dire aprire un’altra frontiera del clientelismo.
Se cosi è non ci si può affidare a minoranze che strumentalizzano questa vicenda per prendere meno schiaffi nella lotta tutta interna al PD. Il massimo dell’opposizione prodotta dalla minoranza riformista è stata svignarsela alla chetichella durante il voto alla camera, permettendo l’abbassamento del quorum e l’ennesima umiliazione per la dialettica parlamentare. Questo non deve stupirci perché non si capisce proprio come parlamentari del territorio come Enza Bruno Bossio, sempre in prima fila nella difesa di quei dirigenti scolastici cosentini sospesi per la condotta dispotica e illegittima nell’esercizio delle loro funzioni, possano avere a cuore un altro modello di scuola e ne come possano essere 2 o 3 emendamenti, magari anche elargiti dal governo, a cambiare una riforma irricevibile perché autoritaria e anticostituzionale.
Il fine ultimo di questa riforma è annullare il ruolo della scuola come luogo di emancipazione sociale, laboratorio di cittadinanza e seme primordiale di una coscienza civica. La scuola deve diventare una palestra di precarietà e competizione, il luogo in cui la barbarie di una certa modernità rottamatrice assume carattere pedagogico per plasmare un cittadino cinico e passivo, privato di un’autonomia culturale che solo un sapere critico può dare. Una grande operazione di chirurgia sociale che è destinata a mutare profondamente la stessa antropologia del popolo italiano.
Il 5 Maggio la scuola si è riscoperta combattiva e forte, unita nelle sue componenti (studenti, docenti, personale Ata, ecc) e col resto della società. Per la prima volta dal 2008 ad oggi, come una salvifica boccata d’ossigeno, una manifestazione di massa è stata capace di sbugiardare l’ennesimo governo che nasconde con la sua retorica il senso doloroso della crisi e delle politiche di austerità. La strada è segnata e va battuta: solo continuando il percorso di lotta, pur sapendo che potrebbe essere lungo e faticoso, valorizzando l’unità tra le componenti della scuola (organizzate e non) e tra sigle sindacali (confederali e non) si potrà giungere al ritiro della riforma. Tutto questo, - conclude la nota - ovviamente, nella chiarezza politica dell’obiettivo che, dinanzi alla sfida epocale che ci viene posta, non può che essere il ritiro di questa riforma e l’apertura di una stagione di proposte che veda protagonista il mondo della scuola e non un governo mai votato e amico delle lobby.”
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