“Il cacciatore di meduse”, nuovo romanzo di Ruggero Pegna
In concomitanza con la Giornata Mondiale del Rifugiato e del Migrante di domani, arriva nelle librerie italiane il commovente romanzo “Il cacciatore di meduse”, scritto da Ruggero Pegna e pubblicato dalla casa editrice Falco.
Mentre viviamo ogni giorno il dramma di migliaia di migranti, che spesso si trasforma in tragedia, ecco l’incredibile storia di un bambino somalo e dei suoi amici migranti e miseri di tutto il mondo. Un racconto che, attraverso la loro voce, ci porta tra le sofferenze e i sogni di chi è misero o diverso, discriminato per il suo stato di povertà o per il colore della pelle.
Una storia che approda sulle coste siciliane, in riva al mare cristallino di San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, dopo l’espiazione di un viaggio massacrante, nel deserto prima e, poi, a bordo di un barcone fino a Lampedusa. In questo romanzo attualissimo ed emozionante, c’è un pezzo di storia dei nostri tempi. Tra le onde, Tajil anela alla terraferma, con un guazzabuglio di desideri, speranze, sogni.
«Ognuno ha un motivo per scappare e mille altri per sperare», scrive Ruggero Pegna che, dopo il successo di “Miracolo d’amore”, storia della sua leucemia, decide di addentrarsi in un mondo affascinante e misterioso che si perde, talora, nelle derive del razzismo, del concetto errato di emigrazione, di tolleranza e solidarietà, di speranza. In terra siciliana, accompagnato dalla mamma Halima e dal suo piccolo Pinocchio di legno, Tajil dovrà fare i conti con una nuova realtà.
A San Vito Lo Capo, insieme ad altri migranti, inizia la nuova vita tra una panchina sotto il cielo terso di Sicilia e un angolo di garage impregnato dell’acre odore di benzina. Il piccolo cacciatore di meduse si districherà fra mille difficoltà in un viaggio attraverso posti sconosciuti, tra cui il “magico castello” di Isola Capo Rizzuto e luoghi della memoria, a metà strada tra la cruda realtà quotidiana e il sogno di approdo a un’esistenza diversa.
La struggente storia di Tajil, un bambino nero che non sapeva di essere diverso perché nel suo villaggio a Chisimaio tutti avevano il suo stesso colore della pelle, ci apre ai sentimenti, al rispetto degli altri e delle loro infinite diversità, ci apre alla bontà.
L’autore, con uno stile fluido e lineare, un linguaggio espressivo intriso di estrema sensibilità e delicatezza, affronta - in questa storia incredibilmente vera ma resa a tratti fiabesca dagli occhi di bambino - i temi scottanti e attuali dell’immigrazione, della miseria, delle diversità, in cui si muovono le vicende dei protagonisti e di numerose comparse, mostrandone le due facce a guisa di una medaglia. Da una parte, l’accoglienza e l’integrazione e, dall’altra, l’ostilità e la discriminazione culturale: un miraggio e un ostacolo quasi insormontabile che trovano, inaspettatamente, un punto di saldatura.
Il cacciatore di meduse emoziona. Come la musica del pianista che ascolta Tajil, è poesia, dolcezza, sensazioni e suoni di tasti bianchi e neri. Oltre l’immaginifico, è un messaggio fortissimo di elevato spessore etico, che scuote le coscienze dall’indifferenza e dal torpore di un’omologazione nei giudizi espressi sugli altri, sovente appannaggio di diversa cultura e civiltà. La narrazione cattura il lettore, incanta, anche grazie a descrizioni di una natura aspra ma meravigliosa, lo trasporta in un’atmosfera di vibrante umanità e alterità con l’identificazione e la proiezione nel personaggio principale, di cui condivide amarezze e delusioni, ma anche speranze, attese e desideri.
"Io sono un bambino nero. Non so perché il mio colore è questo, ma sono contento lo stesso, perché somiglio a mamma, al nonno e a tutti quelli di Chisimaio. Se ero bianco, mi sarei vergognato sicuramente di stare là. Ora che sono grande e sono qui, non mi importa nulla se qualcuno mi chiama negro. Sono vivo e felice. E questo è bellissimo. Un nero vede il mondo come lo vedono i bianchi, perché gli occhi di tutti sono uguali, se non sono malati come quelli di certi vecchi. Durante il viaggio ho visto che, avvicinandoci all’Italia, la gente si scolorisce, fino a essere bianca del tutto quando si arriva qua. Non so il motivo e nessuno me lo sa dire".
Effetto inevitabile del testo letterario di Ruggero Pegna – romanziere attento e raffinato – è quello, infine, di un’autentica sferzata verso il superamento di pregiudizi e di steccati culturali, che mal si accordano con la temperie della convivenza civile e comunitaria a ogni latitudine.
"La Terra è di tutti, diceva mio nonno e, per questo, sto bene anche qui, in mezzo a gente con la pelle diversa dalla mia. […] Penso che il nonno avesse ragione quando diceva che la bontà non dipende dal colore della pelle, ma da quello del cuore".