La possente voce di Dee Dee Bridgewater chiude “Reggio In Jazz”
S’è dimostrata realmente l’ultimo baluardo delle jazz ladies: Dee Dee Bridgewater ha mandato in visibilio il numerosissimo pubblico del Teatro comunale “Francesco Cilea” e ha concluso in grande stile l’ottava edizione di Reggio In Jazz – manifestazione promossa dall’associazione Naima in collaborazione con Lievito – svoltasi dall’11 al 13 novembre.
In un “Cilea” davvero pieno in ogni ordine di posti, l’esibizione della Bridgewater ha brillato per le sue indiscutibili doti canore e l’originalità della proposta musicale nel suo complesso, la scelta dei brani e ancor più il suadente, granitico sound elaborato dai prodigiosi Dvrk Funk (Eric Wheeler al contrabbasso, Kassa Overall alla batteria, Michael King al piano, Anthony Ware al sax) negli arrangiamenti del loro bandleader, il trombettista Theo Croker, da oltre un lustro fedelissimo collaboratore della singer del Tennessee, che però non ha certo dimenticato le proprie origini del Mali.
Anzi, la scaletta ha previsto l’apertura del live con Afro Blue, standard del ’59 del cubano Mongo Santamaria ben noto nella sua “reinvenzione” da parte di John Coltrane ma, soprattutto, uno dei brani dell’album Red Earth – A Malian Journey rilasciato nel 2007 (che vide tra i turnisti anche il griot maliano Baba Sissoko, da tempo ormai “trapiantato” proprio in Calabria e residente nel Cosentino), un formidabile viaggio musicale di Denise Eileen Garrett (questo il nome della cantante all’anagrafe) in 13 tracce alla riscoperta delle proprie origini personali e musicali in questo esteso Paese nel nordovest dell’Africa.
Hanno animato il live tanti altri brani, recenti e risalenti a vari momenti della lunga, fortunatissima carriera della Bridgewater, pronta indifferentemente al growl e a passi di danza, ad acuti impressionanti e a un serrato, inedito hip-hop, con particolare attenzione ai frutti dell’intensa collaborazione con l’estroso e coloratissimo Theo Croker (l’avvincente nuova vita tributata a I Can’t Help It, magico brano firmato da Stevie Wonder e reso celebre in ogni angolo del pianeta da Michael Jackson nell’album Off The Wall) e alle song dell’ultimo album, Dee Dee’s Feathers, dalla rielaborazione di One Fine Thing di Harry Connick jr. fino a What A Wonderful World di Louis “Satchmo” Armstrong, performata come unico (e invocatissimo) bis col solo accompagnamento del piano e scoprendo finalmente il capo, mostrando il cranio oggi rasato: «La bellezza, nella vita, è la semplicità» ha commentato l’artista, commuovendo l’intera platea.
Prima dell’evento-Bridgewater, fuori dalla sala del “Cilea” avevano accompagnato la giornata dei reggini le coinvolgenti note funky della streetband cosentina Takabum; nell’atrio, le splendide tele dell’esposizione Black&White di Maurizio De Marco; in sala, l’esibizione («per il terzo anno, anche se non consecutivo», ha fatto presente l’interessato) in versione solista del pianista reggino Giampiero Locatelli – allievo del grande Aldo Ciccolini e, per la composizione, di Vincenzo Palermo e Luca Macchi –, che ha molto convinto nella riproposizione dei suoi brani come pure di alcuni capisaldi di George Gershwin (It Ain’t Necessarily So e I Loves You, Porgy).
Nei giorni precedenti, l’edizione 2016 di Reggio in Jazz ha comunque fatto registrare un notevole afflusso di pubblico e grandi consensi per i concerti del Nicola Combo Combo Septet (l’11 novembre), con l’artista barese che ha formulato una proposta più ripiegata sulla ritmica afro e sulla cifra musicale d’insieme, meno propensa a improvvisazioni strumentistiche articolate o alla melodicità swing che l’ha reso popolare in tutto il mondo (CharlotteMarine Wovassidzietham, per la prima volta live col gruppo di Conte, Pietro Lussu al piano, Daniele Tittarelli al sax, Luca Fattorini al contrabbasso, Marco Valeri alla batteria, Francesco Lento alla tromba gli elementi del Combo Septet); e del grande trombettista e compositore californiano Ambrose Akinmusire, già trionfatore nella prestigiosissima Thelonious Monk International Jazz Competition, col suo quartetto (Sam Harris al piano, Arish Raghavan al basso e Justin Brown alla batteria), pronto a immergersi nella seconda giornata, il 12 novembre, in un’ispirazione quasi religiosa, decisamente coltraniana, nell’esecuzione di alcuni fra i brani più significativi dei due album più recenti, When The Heart Emerges Glistening e The Imagined Savior Is Far Easier To Paint.