Grande partecipazione all’evento del Nuvola rossa

Reggio Calabria Attualità

Venerdì 12 maggio, al Nuvola Rossa di Villa San Giovanni, si è tenuta una pubblica assemblea sul tema del disagio abitativo nella città metropolitana di Reggio Calabria, promossa dalla stessa realtà autogestita villese, insieme al Co.S.Mi. (Comitato Solidarietà Migranti), al c.s.o.a. Angelina Cartella, all’associazione Un Mondo di Mondi e alla Società dei Territorialisti. I promotori dell’iniziativa, partendo da punti di vista e ambiti di intervento a volte diversi, convergono tutti verso la stessa idea: in Italia - e soprattutto in Calabria - non dovrebbe esistere alcun disagio abitativo, né bisogno di case.

I dati esistenti lo confermano pienamente: ci sarebbero case per tutti ed anche di più. Dal censimento Istat 2011 e successivi datascape (es. ricerche “Riutilizziamo l’Italia” e “L’Italia del riciclo”) si rilevano “oltre otto milioni di case ed appartamenti sottoutilizzati”, circa un quarto dell’intero patrimonio abitativo italiano, di cui quasi cinque milioni effettivamente vuoti o inutilizzati. In Calabria il dato supera le 500 mila unità abitative, a fronte di una domanda, tra locali e immigrati, di “appena” 20 mila unità. Al dato del “vuoto” poi andrebbe sommato quello del patrimonio ERP, in parte ancora nella disposizione di persone che, per vari motivi, hanno perso i requisiti necessari all’assegnazione: si stima che gli alloggi che si liberebbero dalle doverose verifiche, spesso inesistenti, già da soli coprirebbero la domanda locale di casa.

“Uno spreco inaccettabile che ha indotto le realtà promotrici dell’assemblea pubblica ad avviare un nuovo percorso, ambizioso ma necessario per rompere quel meccanismo odioso che al bisogno di abitazioni degne risponde con la costruzione di nuove case: risposta facile, ma poco intelligente, per le amministrazioni poco attente al problema, risposta conveniente per speculatori e palazzinari. Per questo percorso, aperto a chiunque voglia collaborare e portare il proprio contributo, si sono già individuate delle direttrici di lavoro. Un primo obiettivo è approfondire l’indagine sul patrimonio abitativo, per aggiornare e contestualizzare continuamente i dati, aspirando a realizzare un vero e proprio censimento delle strutture abitative immediatamente accessibili.

Accanto ad una necessaria analisi del vuoto, però, è fondamentale spronare gli enti competenti ad una maggiore efficacia ed efficienza nella gestione del proprio patrimonio (che rischia una totale dequalificazione), e alla ratifica di protocolli per un uso sociale del patrimonio privato; è evidente non solo che l’attuale linea governativa consista nella repressione di ogni disagio, in nome del “decoro” e della “sicurezza”, ma che le stesse leggi vigenti in materia facciano riferimento ad una concezione vecchia e anacronistica del diritto all’abitare, legata solo alla “casa” fisica, mentre una visione moderna del diritto all’alloggio adeguato, così come definito dalla stessa ONU, è molto più complessa e contempla anche e soprattutto il contesto sociale in cui la casa insiste, nonché le trasformazioni dei nuclei familiari al suo interno.

In base a questo “nuovo” concetto di diritto all’abitare, non solo il ghetto di Arghillà - ad esempio - non dovrebbe esistere, ma non troverebbero terreno fertile neanche progetti come quello comunale sull’ex-Polveriera, che vede ancora la realizzazione di nuove case dove concentrare e ghettizzare il disagio. “Ammassare le povertà è l'errore più grande che si possa fare. Raccogliendo tutte le disperazioni in un unico posto, si creano delle zone franche in cui il più forte detta legge”, diceva qualche giorno fa all’auditorium Calipari don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, tra i principali centri della cosiddetta Terra dei fuochi. Eppure è un errore che chi amministra continua a ripetere, senza scusante alcuna.