‘Ndrangheta in Emilia: operazione della Dda, coinvolti i vertici dei Grande Aracri
Violenza privata e lesioni aggravate dalle modalità mafiose e spaccio di stupefacenti: sono questi i reati che vengono contestati, a vario titolo, dalla procura di Bologna a otto persone raggiunte stamani da un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip ed eseguita dai carabinieri del Ros e dei comandi provinciali di Bologna, Modena e Reggio Emilia.
Nell'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia, figurano soggetti già coinvolti, nel gennaio 2015, nell'operazione “Aemilia”, in particolare esponenti di spicco della cosca crotonese di 'ndrangheta dei Grande Aracri, attiva in Emilia Romagna.
LA GERARCHIA NEL CARCERE DI BOLOGNA
Nel corso delle indagini gli investigatori hanno eseguito intercettazioni e pedinamenti, ma hanno anche potuto contare sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.
Sarebbe emersa, così, l'esistenza di una gerarchia criminale instauratasi tra i detenuti nella Casa circondariale Dozza, di Bologna, con al vertice, appunto, degli elementi della ‘ndrangheta calabrese: si tratta in particolare Gianlugi Sarcone, fratello del presunto boss in Emilia Nicolino, e di Sergio Bolognino.
I due vennero arrestati nell’ambito dell’operazione Aemilia del 2015 e secondo gli inquirenti avrebbero imposto la loro autorità agli altri detenuti e con minacce e violenze li avrebbero costretti a sottostare alle loro regole di convivenza.
Una prova di tutto ciò sarebbe un pestaggio avvenuto nel penitenziario, una violenta aggressione di cui fu vittima uno dei reclusi nella sezione di Alta sicurezza e messa in atto da due carcerati di origine campana.
La tesi è che i mandanti fossero proprio i due calabresi, per punirlo del suo atteggiamento irrispettoso e refrattario alle disposizioni imposte. Il fatto, poi, che gli autori fossero campani, dimostrerebbe la supremazia riconosciuta agli ‘ndranghetisti dai detenuti contigui alla Camorra.
LA PENITENZIARIA E I RAPPORTI ILLECITI COI RECLUSI
Un altro elemento uscito fuori dall’indagine è il presunto coinvolgimento anche di alcuni agenti della Polizia Penitenziaria. Secondo gli inquirenti due di loro avrebbero allacciato “una fitta rete di rapporti illeciti” con i detenuti, consentendogli addirittura di consumare della droga. Agli agenti viene contestato, insieme a reclusi o ex detenuti, di aver effettuato dentro il carcere numerose cessioni di marijuana e cocaina.