Fatture false per 10 milioni di euro, tre calabresi a capo della “banda” a Verona
I finanzieri del Comando Provinciale di Verona, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica locale, hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip scaligero, Raffaele Ferraro, di beni e disponibilità finanziarie per oltre 2,7 milioni di euro nei confronti di cinque aziende e di otto persone.
Il sequestro ha riguardato disponibilità finanziarie per oltre 400 mila euro (8 conti correnti bancari) e 28 immobili per più di 2 milioni e 300 mila euro (tra case e terreni).
Gli investigatori ritengono di aver disarticolato un’organizzazione criminale a capo della quale vi sarebbero tre persone di origine calabrese e che, nonostante fossero stati già denunciati negli anni precedenti per condotte simili, si sarebbero riorganizzati per commettere gli stessi reati.
Utilizzatori di fatture false ben dodici aziende operanti nel settore dell’edilizia, della carpenteria metallica e della lavorazione pelli: in particolare, sei di Verona, due di Vicenza, altrettante di Crotone e una rispettivamente a Treviso e Venezia.
La tesi è che a fare da intermediari tra coloro che emettevano le fatture e chi invece le utilizzava vi darebbero stati anche dei soggetti affiliati alla famiglia ‘ndranghetista dei Grande Aracri (già condannati nel processo Aemilia celebratosi a Bologna).
Le indagini svolte dai Finanzieri della Compagnia di Soave avrebbero consentito di individuare un vero e proprio supermarket di fatture false ubicato nell’est veronese (a San Bonifacio).
Dalle intercettazioni telefoniche verrebbe fuori come i responsabili delle aziende ritenute utilizzatrici delle fatture false, non appena appuravano, in sede di liquidazione periodica dell’iva, di avere maturato un debito nei confronti dell’Erario, si rivolgevano ai fautori del sistema per annullarlo il debito, proprio mediante l’emissione di documenti relativi in realtà ad operazioni fittizie.
I responsabili dell’organizzazione criminale si sarebbero anche adoperati per garantire alla propria clientela un servizio aggiuntivo di lavaggio del denaro movimentato a seguito dell’utilizzo delle fatture false.
Gli accertamenti bancari e patrimoniali eseguiti (oltre 37 i conti correnti esaminati), poi, ricostruirebbero il percorso effettuato dal denaro oggetto della frode fiscale.
Più in dettaglio, le aziende utilizzatrici delle fatture effettuavano mediante un bonifico bancario il pagamento relativo all’importo riportato nel documento; la società che lo aveva emesso restituiva poi l’importo percepito (trattenendone una parte pari al compenso stabilito, circa il 20) facendolo transitare per almeno due passaggi attraverso dei conti bancari e postali (intestati a terzi compiacenti) e prelevandolo, infine, presso gli sportelli bancomat (ad esempio, in un giorno sono stati eseguiti oltre 20 prelevamenti bancomat) per poi riconsegnarlo in contanti alle aziende utilizzatrici.
La ricostruzione di tutti i movimenti di denaro sporco hanno permesso di individuare il complesso dei beni acquistati e le attività economiche in cui sono stati investiti i proventi illeciti, oggetto del provvedimento di sequestro.
Le indagini di polizia economico finanziaria hanno portato ad individuare l’avvenuta emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti per oltre 10 milioni e 200 mila euro, e di recuperare a tassazione redditi per oltre 8 milioni di euro e Iva dovuta per circa 3 milioni, oltre che determinare proventi illeciti riciclati pari a oltre 800 mila euro. Denunciate 25 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere finalizzata all’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e al riciclaggio e all’auto riciclaggio.