A scuola di memoria: storie, racconti, testimonianze della Shoah al teatro Morelli
Ed è un significativo tappeto sonoro quello offerto dalla giovane e talentuosa Orchestra dell'istituto Zumbini di Cosenza, che apre la mattinata al teatro Morelli, guidata dal M° Paolo Fiorillo, regalando suggestioni di Vivaldi e Piazzolla e, con il violino solista del M° De Vincentis, anche la struggente colonna sonora di 'Schindler's List'.
In sala i ragazzi delle prime e terze medie della Zumbini, protagonisti dell'evento, coordinato dalla docente Alba Battista, bravi narratori di un racconto della Memoria al quale hanno dato voce presenze e testimonianze importanti, maglie di una rete - Amministrazione, scuola, testimoni, università, comunità, associazioni - che tende ad un fine comune.
“Abbiamo il dovere di rendervi persone libere – è il messaggio alla platea, che ospita anche rappresentanze studentesche di istituti superiori, della Dirigente dell'IC Zumbini, Marietta Iusi. Dovete conoscere ciò che è stato perché i rischi sono ancora presenti e la memoria consente di non sbagliare di nuovo. Questo è il nostro compito, formare delle coscienze critiche”.
L'invito dell'assessore alla scuola Matilde Spadafora Lanzino è alla riflessione sul valore del rispetto che sta dietro la memoria. “Non fermatevi solo alla memoria degli orrori – dice ai ragazzi – perché potrebbe sviluppare un'idea di vendetta. Soffermatevi anche sui tanti episodi di collaborazione, di solidarietà, che pure ci sono stati in periodo di persecuzioni. E soprattutto – conclude - non dividete il mondo in categorie, ognuno di noi è una persona, che ogni giorno lascia un’impronta del suo cammino. Questo dovete chiedervi anche voi, che siete già protagonisti, ad ogni fine giornata, che impronta ho lasciato oggi”.
Solidarietà, amicizia, comunità. Sono parole che ricorrono spesso nei vari momenti dell'intensa mattinata trascorsa nel teatro di via Oberdan. Ci sono tutte nella conversazione con Yolanda Bentham, figlia di David Ropschitz, internato nel campo di Ferramonti. “Il più grande campo di concentramento in Italia per ebrei stranieri” – ricorda il sindaco di Tarsia Roberto Ameruso, che l'accompagna. “Una luce nel blackout dell'umanità, grazie alla solidarietà che la cittadinanza dimostrò a quanti vi erano internati”.
A Ferramonti c'era il filo spinato, sì, ma c'erano anche la scuola, il teatro, tre sinagoghe. È un messaggio d'amore quello di Yolanda Bentham, che oggi vive in Ighilterra dove insegna psicologia, “gli italiani sono stati la nostra salvezza, hanno cuore e umanità. A Ferramonti – racconta, sollecitata dalle domande degli studenti – le notizie di quanto accadeva nel resto del mondo, le notizie dello sterminio, arrivavano molto lentamente e allora cominciò a montare la paura per la sorte degli altri. Ma lì era tutto diverso, il comandante del campo era un uomo gentile. Mio padre ha scritto un libro, non ancora pubblicato, sui suoi tre anni a Ferramonti e lì racconta storie di amicizia e solidarietà”.
Tolleranza, ripete con insistenza. “Traducete questa parola in azioni concrete” - è il suo messaggio di congedo. Parla dritta al cuore e alle coscienze anche Clelia Piperno, “mia nonna aveva dieci fratelli, ne rimasero cinque. Uno non mi raccontava gli orrori vissuti, ma parlava di vita, di amore, mi donava la sua musica”.
‘Docente all'Università di Teramo, guida esperta di un innovativo progetto di traduzione del Talmud babilonese, questa donna che ne contiene tante - la presenta così Alba Battista - ci offre le sue fragilità’, “vi devo tantissimo, mai avrei pensato di avere la forza di entrare in un campo di concentramento perché è una immensa fonte di dolore, invece presa per mano sono riuscita ad andare a Ferramonti, dove ragazzi come voi non potevano immaginare il futuro. Sono qui per condividere con voi che forse un giorno ce la farò ad andare ad Auschwitz. Andare in un campo di sterminio, lo dico anche a voi se deciderete di fare questa esperienza, significa affrontare anche la parte brutta di noi, quella che ha paura dell’altro. L'indifferenza, eccolo il male assoluto che dovete combattere. Chiedere all'altro «chi sei?», è il primo passo per uccidere l’indifferenza. Se il mondo non fosse stato indifferente non sarebbe stato possibile sterminare sei milioni di esseri umani”.
Storie, racconti, testimonianze di impegno quotidiano. C'è il 'Treno della Memoria' di Paolo Paticchio, uno dei progetti più rilevanti al mondo sul tema della memoria della Shoah, un percorso culturale e formativo che in quindici anni ha accompagnato oltre 30mila ragazzi e ragazze nella visita al campo di Auschwitz-Birkenau; c'è la rete universitaria 'Giorno della Memoria', che ne raccoglie una trentina tra italiane e straniere, e nasce all'Università della Calabria. Lo rivendica con legittimo orgoglio Alessandra Carelli, “un progetto tutto nostro, molto cresciuto, che in maniera multidisciplinare cerca di spiegare delle dinamiche, facendo formazione ai professori, didattica della Shoah”.
“A Scuola di Memoria” lascia un segno in quanti, giovani e non, hanno partecipato. Lo lascerà, visibile, anche in alcuni luoghi della città dove saranno messe a dimora alcune piante di cedro, grazie alla generosità dell'Accademia Internazionale del Cedro e del suo presidente Franco Galiano, che ha regalato anche un coinvolgente racconto di questa misteriosa pianta, venuta da chissà dove - il cui frutto è legato da secoli agli Ebrei per la celebrazione della festa biblica del Sukkoth - che in una zona costiera della nostra provincia ha trovato il suo habitat perfetto. Cosenza, che è tra i sette comuni della Calabria in cui si celebra la giornata della cultura ebraica, avrà questo ulteriore legame simbolico, giovani piante di cedro che recano, scritti, tra le foglie, i messaggi di altrettanto giovani testimoni di una memoria che è uscita dai libri per entrare nelle loro coscienze.