Omicidio Pirillo. Diverbi nel clan sfociati in una strage: indagati 4 affiliati dei Farao
Chiuso il cerchio dalla Dda di Catanzaro sull’omicidio di Vincenzo Pirillo e sul ferimento di sei persone, tra cui una bimba di soli 11 anni.
I sostituti procuratori Paolo Sirleo e Domenico Guarascio hanno infatti notificato contestuale informazione di garanzia a carico di quattro persone ritenute affiliate al Clan Farao. Si tratta di: Giuseppe Farao, 73 anni, di Cirò; Silvio Farao, 72 anni, di Cirò; Cataldo Marincola, 59 anni, nato a Cirò e residente a Sulmona; Giuseppe Spagnolo, 51 anni, nato a Cirò e residente anch’egli a Sulmona. Tutti sono accusati di strage, detenzione illegale di armi e lesione personale, reati aggravati dalla mafiosità.
Secondo gli inquirenti, sarebbero stati loro a promuovere e ad organizzare il gruppo criminale “composto da un numero non inferiore a 5, rimasti sconosciuti” entrato in aziona a Cirò Marina il 5 agosto di tredici anni fa.
Alcuni di loro - sempre in base a quanto appurato dagli investigatori - avrebbero svolto il ruolo di sentinelle, controllando le vie di ingresso e di uscita del locale, mentre altri due si sarebbero introdotti nell’affollata veranda del ristorante esplodendo diversi colpi di arma da fuoco, quattro dei quali all’indirizzo di Vincenzo Pirillo, che in quel momento stava cenando con i propri familiari e amici seduto ad un tavolo.
Inutili i tentativi di rianimarlo, Pirillo morì poco dopo il suo arrivo all’ospedale civile di Crotone. Un delitto che sarebbe stato ordinato dalla famiglia di ‘ndrangheta dei Farao-Marincola: la vittima, nonostante appartenesse alla cosca era ritenuta ostile dai vertici della consorteria.
Un delitto dai motivi abietti secondo la Dda, guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri, compiuto in nome dei Farao per mantenere il controllo su Cirò.
La scarica di fuoco aveva inoltre ferito sei persone: una bimba di 11 anni, raggiunta da un proiettile alla spalla, quattro avventori alle gambe e uno da schegge di vetro, con prognosi giudicate guaribili dai dieci ai trenta giorni.
Gli indagati, assistiti dagli avvocati Gregorio Viscomi, Francesco Gambardella, Gianni Russano e Tiziano Saporito, avranno venti giorni di tempo per essere sentiti, rendere spontanee dichiarazioni e compiere ogni atto utile all’esercizio del diritto di difesa, prima che i magistrati contitolari del fascicolo procedano con la richiesta di rinvio a giudizio.