Arte, Anassilaos: la figura di Polidoro di Caravaggio al centro di un incontro
La figura di Polidoro di Caravaggio (1500-1543), allievo di Raffaello, sarà al centro di un incontro promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos, nell’ambito delle manifestazioni per il 5° centenario della morte di Raffaello, che si terrà martedì 25 febbraio alle ore 17,30 presso lo Spazio Open, relatore il Dott. Alessandro Allegra.
“Era Polidoro da Caravaggio di Lombardia venuto a Roma ne’ tempi di Leon X e, mentre che le logge si fabbricavano nel palazzo per ordine di Raffaello da Urbino, egli portava lo schifo pien di calce a’ maestri che muravano, e fino che fu di XVIII anni fece sempre quello esercizio. Ma cominciando Giovanni da Udine a dipignerle, e murandosi e dipignendosi, la volontà e la inclinazione di Polidoro molto volta alla pittura, non restò di far sí ch’egli prese dimestichezza con tutti quei giovani che erano valenti, per vedere i tratti et i modi dell’arte, e si mise a disegnar”.
Così Giorgio Vasari scrive del giovane allievo di Raffaello Sanzio, che può ben annoverarsi tra i suoi “giovani”, il quale fu tra coloro che affrescarono le Logge vaticane. Alla morte di Raffaello (6 aprile 1520) gli allievi dell’Urbinate o, meglio i suoi “garzoni” come con disprezzo li definisce Sebastiano del Piombo, continuarono a lavorare a Roma e così fece il nostro Polidoro fino al sacco della città del 6 maggio 1527. A quella data la gran parte degli artisti abbandonò Roma e Polidoro si trasferì dapprima a Napoli.
Successivamente, come scrive il biografo aretino, “stando egli in Napoli, e veggendo poco stimata la sua virtú, deliberò partire … Per il che, montato su le galee, si trasferí a Messina, e quivi trovato piú pietà e piú onore, si diede ad operare; e talmente lavorando di continuo prese ne’ colori buona e destra pratica. Onde egli vi fece di molte opere, che sono sparse in molti luoghi”. Tra queste opere meritano particolare attenzione gli “archi trionfali” che egli realizzò per l’arrivo a Messina di Carlo V dopo la vittoria riportata a Tunisi (l’imperatore, peraltro sbarcò subito dopo a Catona per risalire trionfalmente la Calabria).
Nonostante la stima di cui veniva circondato a Messina, una città ricca e mercantile che si poteva ben permettere di ospitare artisti celebri e “costosi” (pensiamo al grande Merisi nel 1610), Polidoro anelava di tornare a Roma e per tale viaggio – come racconta sempre il Vasari – aveva raccolto una discreta somma di denaro che fu causa della sua morte. Il passo del biografo fiorentino diviene così la cronaca di un delitto feroce.
“Aveva Polidoro tenuto molto tempo un garzone di quel paese – Tonno Calabrese - , il quale portava maggiore amore a’ danari di Polidoro che a lui… per il che caduto in pensiero malvagio e crudele, deliberò la notte seguente, mentre che dormiva, con alcuni suoi congiurati amici, dargli la morte e poi partire i danari fra loro. Laonde nel primo sonno che Polidoro dormiva, quegli con una fascia lo strangolarono, e poscia gli diedero alcune ferite, tanto che lo fecero morire. E per mostrare ch’essi non l’avessero fatto, lo portarono su la porta della donna da Polidoro amata, fingendo che o parenti o altri in casa l’avessero ammazzato”.
Il delitto fu comunque scoperto e l’assassino “fu dalla giustizia condannato alle forche, ma prima con tanaglie affocate per la strada tormentato et ultimamente squartato”. All’artista “Furono fatte l’esequie sue solennissime, e con doglia infinita di tutta Messina nella chiesa catedrale datogli sepoltura l’anno MDXXXXIII”.