Nardodipace. Chiusura in bellezza per il “Megalithos Festival”
Chiusura in bellezza per il Megalithos Festival. Tutti gli eventi, tra cui concerti, escursioni, si sono svolti accanto ai “triliti” costituiti da blocchi di granito, che superano anche le 200 tonnellate, grandi mura il cui progetto deve avere impegnato notevoli forze umane.
I visitatori hanno avuto l’opportunità di scoprirli e forse anche di conoscerli per la prima volta, favorendo la valorizzazione di una risorsa del territorio attualmente sottoutilizzata. E questo grazie al “Megalithos Festival” – progetto culturale promosso dal Comune di Nardodipace e co-finanziato dal PAC Calabria 2014-2020 (azione 1, tipologia 1.3, annualità 2019) – che ha centrato l’obiettivo di riaccendere i riflettori su questa straordinaria ma poco conosciuta realtà.
Tanto che il sindaco Antonino Demasi nel salutare il direttore artistico Danilo Gatto e i presenti, ha rimarcato quanto “è stato importante per Nardodipace ospitare il festival diventato occasione per restituire attualità ad una vicenda su cui per troppo tempo è calato il limbo. Questi megaliti sono stati dimenticati, abbandonati: nessuno ha avuto il senso di capire quanta importanza possa avere per una comunità come la nostra riscoprire il valore di questo patrimonio, bellezze del nostro paese che sono bellezze di tutta la Calabria. Anzi – ha concluso – do mandato di fare conoscere questa realtà, nominandovi ambasciatori di Nardodipace”.
C’è da ricordare che il progetto è stato realizzato con la collaborazione delle associazioni “Stilaro Trekking”, “Casale” di Fabrizia e “Solo Sentieri”. Mentre sabato 24 luglio i protagonisti sono stati - con il laboratorio di campanacci e “Allerva Radicchia”, in anteprima nazionale del concerto per campane a campanacci - Christian Ferlaino prima e il Drosa Trio (Anna Maria Civico, Elena D’Ascenzo, Ambra Battistelli) con “A Stisa Blues” nell’ultimo appuntamento con il “Megalithos Festival” sono stati concerto per tamburi a cornice e voce di Andrea Piccioni e l’ensemble “Ancillae Domini” a incantare il pubblico con suggestive esibizioni che hanno permesso di avvolgere il sito di suoni e melodie diventate quasi ipnotiche, armonie avvolgenti amplificate dalla luce e dal verde della natura delle Serre.
Piccioni maneggia tamburi tradizionali e metalli, ma è la densità di “tamburo e voce” che diventa il cuore centrale, attorno al quale si dipanano mille rivoli sonori, e su uno spettro geografico che accorpa l’Occidente e l’Oriente. Composizioni per chitarra battente e canti sul tamburo, una sorta di piacevolissima disfida in 7/8 tra tamburello e scacciapensieri da un lato, pandeiro e berimbau dall’altro, un salterello dell'Aniene con campionature di zampogna, un duetto dutar - tamburello, un canto sul cupa cupa a frizione che incrocia il tintinnio dell’oud arabo e del cümbüş turco, dal suono metallico così vicino al banjo, un jahaptall, ciclo ritmico della tradizione afgana e indiana in dieci. Le sorprese timbrico-strumentali sono a ogni brano. Tiene assieme il tutto la voce rotonda e matura di Andrea Piccioni, e soprattutto le sue mani ubique su pelli, metalli e cursori.
Tra i megaliti di Nardodipace, infine, il canto delle più remote radici cristiane in Calabria ha preso vita, grazie al costante impegno di studio, di ricerca delle fonti manoscritte e di diffusione dell’ensemble Ancillae Domini, diretto da Licia Di Salvo, con Paola De Blasi, Maria Gabriella De Capitani, Maria Sabrina Fumaro, Enza Mirabelli, Armida Nicotera.
“Diffondere e valorizzare le tradizioni musicali liturgiche - spiega Di Salvo - per mantenere quel patrimonio musicale che per oltre un millennio, all’interno della Chiesa romana, ha dato un’adeguata espressione alla fede cristiana è il motivo fondamentale del percorso che in oltre venti anni le ‘Ancillae’ hanno compiuto, divenendo una realtà musicale di rilievo a livello regionale e nazionale”.
Si passa così da una “Ave maris inno dei vespri della natività di Maria” (Antifonario Rossano Calabro), al “Salve radix sancta” introito Missa SS Rosari BVM ( Graduale di Cosenza), al “Ponis nubem responsorio” Codice di Gerace, in giro per la Calabria nelle radici sonore più profonde tra fede e armonia, nel nome del valore del canto come mezzo per avvicinarsi a Dio e mettersi in ascolto dell’Altro.