Le mani sporche delle ‘ndrine sul litorale romagnolo: ai clan calabresi piacevano pure i dolciumi

Calabria Cronaca

Gli inquirenti l’hanno chiamata in codice “Radici”: l’inchiesta prende le mosse dal monitoraggio di imporranti investimenti immobiliari e societari riconducibili a persone di origine calabrese e da qui si è arrivati a far luce sulle presunte infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna di organizzazioni criminali di stampo mafioso radicate nella nostra regione: da qui, appunto, prende il nome l’operazione.

Stamani, così, il blitz, partito da Bologna, con i finanzieri e lo Scico del capoluogo emiliano che, con l’aiuto dei colleghi sui territori interessati, hanno notificato 23 misure cautelari (quattro arresti in carcere, tre ai domiciliari e decidi obblighi di dimora) nei confronti di altrettante persone che gli inquirenti ritengono affiliate alle ‘ndrine dei Piromalli di Gioia Tauro (nel reggino) e dei Mancuso di Limbadi (nel vibonese) (QUI).

Contemporaneamente, tra le province di Roma, Milano, Brescia, Bologna, Monza, Modena, Piacenza, Forlì-Cesena e Reggio Emilia, così come a Vibo Valentia e Reggio Calabria, si è proceduto al sequestro di conti correnti, beni immobili e quote societarie per un valore stimato intorno ai 30 milioni di euro.

Le indagini, come dicevamo, sono partite tenendo d’occhio gli investimenti, considerati illeciti dagli investigatori, molti dei quali avvenuti in piena emergenza epidemiologica per il Covid-19, e che hanno riguardato, nel tempo, esercizi commerciali ubicati principalmente lungo il litorale romagnolo e che operano in diversi settori economici, tra cui l’edilizia, la ristorazione e l’industria dolciaria.

Dopo mesi di complesse investigazioni si è arrivati a scoprire che in Emilia fossero presenti dei piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da personalità di spicco, con propri interessi economici e, soprattutto, legati a diverse famiglie e mandamenti della “casa madre” in Calabria, spesso menzionati nelle varie conversazioni intercettate.

Proprio grazie a quest’ultime, sia telefoniche che ambientali, e dall’esame di oltre un centinaio di rapporti bancari, è stato documentato quello che i finanzieri definiscono come “un vorticoso giro di aperture e chiusure di società”.

Aziende che, intestate formalmente a dei prestanome, sarebbero state usate come “mezzo” per riciclare denaro o per consentire comunque l’arricchimento dei reali “proprietari”, il tutto tramite delle evasioni fiscali “sistematiche” perpetrate per lo più con l’emissione e l’utilizzo di fatture false, spesso preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di vere e proprie distrazioni patrimoniali,con una palese noncuranza delle possibili conseguenze in termini di procedure fallimentari”, puntualizzano le fiamme gialle.

Questi presunti illeciti si sarebbero consumati in un contesto criminale connotato da ripetuti episodi di intimidazione e minacce; in alcuni casi anche con vere e proprie violenze subite da imprenditori che si sarebbero rifiutati - o quanto meno avrebbero tentato di farlo - di accettare le richieste dei sodali.

GLI ARRESTATI

Sono finiti in carcere: Francesco e Rocco Patamia, Saverio Serra e Giovanni Battista Moschella. Disposti i domiciliari, invece, per Antonio Carnovale, Gregorio Ciccarello e Giuseppe Vivona.

L'OPERAZIONE

Nell’operazione sono stati impegnaiti oltre un centinaio di militari del Comando Provinciale di Bologna, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza e l’ausilio dei colleghi dei comandi provinciali di Milano, Forlì-Cesena, Reggio-Calabria, Vibo Valentia e Chieti

Le indagini sono state eseguite dagli specialisti del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria mentre i provvedimenti cuatelari sono stati emessi dal Gip presso il Tribunale di Bologna, Domenico Truppa, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia locale, nella persona del Sostituto Procuratore Marco Forte.