Quelle mani di Fata (Verde) che sfornavano quintali di marijuana, undici arresti
Un vero e proprio “distretto” della droga tra Taurianova, San Procopio, e Sant’Eufemia di Aspromonte: alle spalle una presunta organizzazione che non solo realizzava e gestiva vaste piantagioni di cannabis, ma che si occupava anche di piazzarla sul mercato.
Un business finanziato e controllato dalle cosche della ‘ndrangheta reggina e catanzarese, e che contava sulla collaborazione si altri componenti del gruppo, a cui era destinata una cosiddetta “quota parte” spettante a ciascuno sui proventi della vendita dello stupefacente.
Questo quanto emerge dall’operazione nome in codice “Fata Verde” con cui stamani i carabinieri del Nipaaf del gruppo Forestale del capoluogo dello Stretto, diretti dalla Direzione Distrettuale Antimafia locale, hanno arrestato undici persone, otto finite in carcere e tre ai domiciliari, ed eseguito altri due divieti di dimora nel territorio calabrese a carico di altrettanti indagati.
Le ipotesi di reato contestate a tutti vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico delle sostanze stupefacenti, aggravata dall’agevolazione mafiosa, ad una serie di delitti sempre in materia di stupefacenti.
I SOGGETTI SACRIFICABILI
Secondo quanto appurato nel corso delle indagini, oltre ai “gestori” dell’affare, vi sarebbero state altre figure assoldate di volta in volta, individuate per svolgere compiti di vigilanza e manovalanza; in pratica dei “soggetti sacrificabili”, spesso incensurati, disposti ad assumersi ogni responsabilità nell’ipotesi di un intervento delle forze di polizia.
Dalle conversazioni intercettate è emerso che i presunti partecipi all’organizzazione si mostrassero sicuri in merito ai canali commerciali ai quali destinare la droga, grazie alle figure garanti dei “capi-promotori”, che per gli inquirenti sarebbero stati già inseriti “in un sistema strutturato e consolidato di commercio nel mercato illegale”.
Gli arrestati non avrebbero desistito nemmeno davanti alle periodiche azioni di contrasto alle loro attività da parte degli investigatori, tanto da essere capaci di riavviare in tempi rapidi le attività di produzione dello stupefacente nonostante i vari controlli subiti.
Peraltro avrebbero simulato la sussistenza legale delle coltivazioni di canapa, con dei raggiri e degli stratagemmi utili ad eludere i controlli operati dai carabinieri forestali.
LA FINTA AZIENDA REGOLARE
Proprio nel corso di un controllo amministrativo, uno dei titolari dell’attività, già istruito a dovere dai sodali, avrebbe esibito ai militari della documentazione che comprovava l’esistenza di un’azienda agricola a suo nome, un regolare contratto di affitto del terreno e fatture di acquisto di semi certificati di canapa nei limiti previsti dall’attuale normativa.
I carabinieri effettuarono però e come di rito un campionamento delle piante presenti, col prelievo della coltura, alla presenza del titolare, al quale furono rilasciati dei campioni in contraddittorio per le eventuali controverifiche.
Gli esiti delle analisi condotte dal reparto investigazioni scientifiche dell’Arma, confermarono la sussistenza di un principio attivo, il Thc, nettamente superiore al quantitativo soglia consentito dalla legge, il che certificava la natura di stupefacente delle piante controllate.
Tra le varie attività condotte nel corso dell’indagine, i militari del Nipaaf avevano già proceduto all’arresto in flagranza di un soggetto che trasportava ingenti quantitativi di piante di canapa prelevate dalle piantagioni oggi finite sotto indagine, e altri quattro sorpresi a lavorare lo stupefacente, con il conseguente sequestro di circa 70 kg di marijuana già in stato di essiccazione e pronta per la vendita.