Ospiti affetti dall’Alzheimer al complesso monumentale di San Giovanni
Riceviamo e pubblichamo dalla onlus Ra.Gi.
Un museo come “luogo terapeutico” per i malati di Alzheimer? L’iniziativa nata sulla scia dell’esperienza del Mo-Ma, il Museum of modern art di New York, che da qualche anno cura un programma di visite guidate mirato ad incoraggiare l’espressione e la creatività nei malati di Alzheimer, è stata messa a punto dall’equipe dell’Associazione Ra.Gi. Onlus per i 31 ospiti dello Spazio Alzheimer e demenze neurodegenerative che hanno visitato la collezione di quadri dal titolo “Divinità e Miti”, in mostra al Complesso Monumentale del San Giovanni.
Proprio come una scolaresca gli ospiti, accompagnati da dieci operatori della Ra.Gi e dal presidente Elena Sodano, sono partiti dal Centro di via Fares per poi raggiungere le sale del San Giovanni e iniziare la visita alle opere, alla quale ha preso parte anche il dirigente dell’assessorato comunale alle Politiche Sociali, Antonino Ferraiolo. Indispensabile per l’organizzazione logistica dell’iniziativa è stata la disponibilità dimostrata dal funzionario dell’assessorato comunale alla Cultura Franco Megna, dal dirigente dell’Assessorato alle Politiche Sociali Antonino Ferraiolo e dal signor Salvatore Sangiuliano con il suo staff, che gestisce la mostra al San Giovanni.
Tutto il gruppo ha avuto modo di visitare l’esposizione dedicata alle opere del pittore neoclassico Michelangelo Maestri e quella dedicata ad un’unica opera, la grande “Piccola Maestà” di un grande artista del Trecento, Ambrogio Lorenzetti. Soffermandosi di fronte ai un quadro gli operatori chiedevano ai pazienti: “Quale particolare vi colpisce di più?” oppure “In questo quadro che cosa stanno facendo le donne?” “Che cosa stanno suonando”? , “Come sono vestite”? .
Una sorta di gara a chi ce la faceva rispondeva, cercando di lavorare con la memoria sopravvissuta alla malattia frugando tra i brandelli di immagini che le opere d’arte evocano. Obiettivo primario dell’iniziativa infatti è stato quello di valutare sia l’impatto di un intervento terapeutico non farmacologico sui sintomi cognitivi e psico-comportamentali basato sulla visione di opere d’arte in un contesto museale, sia il livello di soddisfazione o di stress dei pazienti.
“Da un primo impatto e dall’interesse che abbiamo notato nei pazienti che hanno mostrato tranquillità nello stare in un posto a loro sconosciuto - afferma la psicologa Giusy Genovese – possiamo dire che sono stati rilevati effetti positivi sui pazienti con particolari turbe dell’umore e con difficoltà all’interazione sociale, attraverso la stimolazione e il contatto diretto con l’opera, sollecitando lo scambio di idee e il ricordo del proprio vissuto con l’osservazione dei soggetti rappresentati. Certe emozioni scaturite dal guardare un’opera d’arte influenzano positivamente il paziente. Andare nei luoghi dove è esposto il bello è un modo per comunicare al malato che non viene segregato, anche se la sua mente vacilla, e che può ancora stare al centro della vita”.
Considerare chi è affetto da Alzheimer e da Parkinson prima di tutto delle persone e non dei pazienti. “John Zeisel viene considerato uno dei più importanti innovatori nell'ambito del trattamento non farmacologico dell'Alzheimer – afferma il presidente della Ra.Gi. Elena Sodano -. Il suo approccio mostra come sia possibile rimanere in contatto con le persone affette dal morbo utilizzando le abilità che si mantengono nel tempo, quali la comprensione musicale, l'arte, le espressioni facciali, il tatto e il bisogno profondo che abbiamo tutti di occuparci degli altri. Sicuramente l’idea potrebbe sembrare alquanto bizzarra, specialmente in una città come Catanzaro dove sono molte le famiglie che tengono segregati i loro familiari per una stupida vergogna sociale. Ma c’è anche da chiedersi se l’arricchimento interiore e luoghi lontani anni luce dalla frenesia contemporanea, come i silenziosi musei, possano realmente aiutare ad “alleviare” alcune malattie che causano un costante regresso psicofisico. Fatto sta che la cultura e l’arte da quando esistono, non ha mai arrecato danno a nessuno. Andare a teatro, visitare un museo, ricordare insieme, parlare di vecchi interessi, ascoltare la musica, assistere a una partita di calcio, guardare vecchi film: tutte queste azioni possono essere fonte di soddisfazione perché, anche se i ricordi espliciti di queste esperienze scivolano via a causa dei modi complessi in cui la demenza colpisce il cervello, le connessioni emozionali restano. Spesso queste persone convivono con il morbo per più di un decennio, e per la maggior parte di quel tempo possono andare avanti con meno aiuto di quanto si pensi, possono divertirsi e addirittura continuare a imparare. E, cosa fondamentale, coloro che li accudiscono e che tengono a loro, possono portare avanti una relazione positiva e condividere ricordi vividi per tutto il corso della malattia. Il modo in cui il mondo percepisce l'Alzheimer oggi è quello per cui la diagnosi viene vissuta come una «condanna», ma non è così: durante il progredire della malattia, l'individuo è come se lanciasse un grido “Io ci sono ancora” e tutti noi dobbiamo cominciare ad ascoltarlo prima che svanisca completamente”.