San Luca: celebrazione in onore del brigadiere ucciso Tripodi
Celebrazione ieri presso la Chiesa Santa Maria della Pietà di San Luca, in memoria del Brig. CC. M.O.V.M. Carmine Tripodi. La messa è stata officiata dal Vescovo di Locri, Mons. Giuseppe Morosini. Alla cerimonia hanno partecipato il generale Comandante della Legione Carabinieri Calabria generale di Brigata Adelmo Lusi, il comandante Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria colonnello Lorenzo Falferi, oltre i carabinieri di Locri. Prima della messa è stata deposta una corona di fiori in località Ponte Cocuzza, luogo dell’eccidio del Sottufficiale; e dopo vi è stata la deposizione della corona di fiori presso il monumento intitolato al Brigadiere CC M.O.V.M. Carmine Tripodi sito nell’omonima piazza;
Il Brigadiere Carmine Tripodi, 25 anni, di Castel Ruggero, piccola frazione di Torre Orsaia (Salerno), ucciso in un agguato mafioso, a colpi di lupara, a San Luca, il 6 febbraio del 1985, sulla strada provinciale, ad un anno della sua morte, venne decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.
“Comandante di Stazione – dice la motivazione – già distintosi in precedenti operazioni di servizio contro agguerrite cosche mafiose, conduceva prolungate, complesse e rischiose indagini che portavano all’arresto di numerosi temibili associati ad organizzazioni criminose, responsabili di gravissimi delitti. Fatto segno a colpi di fucile da parte di almeno tre malviventi, sebbene mortalmente ferito, trovava la forza di reagire al proditorio agguato riuscendo a colpirne uno, dileguatosi poi con i complici. Esempio di elette virtù militari e di dedizione al servizio spinto fino al sacrificio della vita”.
Il Brigadiere Carmine Tripodi, dal 1982 Comandante della Stazione dei Carabinieri di San Luca, in quegli anni scuri e violenti, fu impegnato ad arginare l’ondata dei sequestri di persona sui crinali dell’Aspromonte. Riuscì ad assicurare alla giustizia i rapitori dell’ingegnere napoletano Carlo De Feo, titolare di un’avviata industria nel settore delle telecomunicazioni, tenuto prigioniero per 395 giorni su quelle montagne. Quattro miliardi e quattrocento milioni di lire fu il riscatto pagato. De Feo, una volta libero, decise di collaborare alle indagini e, insieme al G.I. di Napoli Palmieri, andò a San Luca. Lì, Tripodi e i suoi Carabinieri, con l’aiuto dell’ex rapito, riuscirono a localizzare otto prigioni, tra le impervie alture ed anfratti dello Scapparrone e dello Zillastro, di Monte Castello, Pietra Longa, Pietra Kappa, monoliti che giganteggiano sull’Aspromonte orientale.
Verso le 21.00 del 6 febbraio l’agguato, a San Luca, in una doppia curva. Carmine Tripodi cadde sotto il piombo dei killers stringendo nella mano destra la sua pistola d’ordinanza con la quale, in una disperata quanto inutile difesa, sparò ripetutamente contro i suoi assassini cinque colpi, colpendone uno. Venne trovato dai suoi Carabinieri, che scendevano verso la vallata del Buonamico, piegato sul sedile della propria autovettura, mentre impugnava ancora l’arma, col dito indice sul grilletto.
L’esecuzione sommaria del Brigadiere Carmine Tripodi rappresentò una sfida allo Stato, all’Arma. Significò una frattura traumatica di quella “regola” non scritta, ma bene impressa nel cuore e nella mente di ognuno, che sanciva di “rispettare” i Carabinieri in quanto avrebbe portato male a tutti e disgrazie alle famiglie sparare su un rappresentante dell’ordine.
Prima di Carmine Tripodi, il 1° aprile 1977, a Razzà di Taurianova, sul Campo dell’Onore, caddero l’Appuntato Stefano Condello ed il Carabiniere Vincenzo Caruso, a seguito di conflitto a fuoco ingaggiato con mafiosi senza scrupoli partecipanti ad un summit, interrotto dai Carabinieri. Ed ancora, il 1° settembre 1951, mentre a Polsi era festa, Angelo Macrì, quello che poi sarà il “Re dell’Aspromonte”, assassinò davanti a un bar di Delianuova il Maresciallo, Comandante della Stazione dei Carabinieri, Antonio Sangeniti, 41 anni, di Petrizzi, che riteneva responsabile della morte del proprio fratello Gianni, latitante, caduto insieme al suo favoreggiatore Leo Palumbo, il 3 luglio precedente, in un conflitto a fuoco coi rappresentanti della legge, coi Carabinieri. Ed ancora più indietro nel tempo, sempre nelle montagne di San Luca, ai confini con quelle di Africo, il brigante Giuseppe Musolino, nell’agosto del 1898, uccise a fucilate il Carabiniere Pietro Ritrovato, in servizio presso la Caserma di Bianco.
L’omicidio del Brigadiere Tripodi fu organizzato e portato a termine da gruppi criminali della ‘ndrangheta per dare una dimostrazione del proprio “prestigio” nel momento in cui il valoroso sottufficiale, elevata espressione dello Stato nel paese, aveva chiuso con le investigazioni sulle cosche locali ed era già trasferito a Santa Caterina dello Jonio, dove lo aspettavano per lunedì 11 febbraio.
Altresì, ci fu il tentativo di intimidire e debellare quel manipolo di investigatori impegnati a Locri, Magistrati e Carabinieri, che non si erano limitati a sognare un mondo migliore ma erano andati a cercarlo e sfidarlo, con le proprie debolezze e le proprie paure, col sentire nel respiro e nel sangue l’ansia della Giustizia.
Luciana, 21 anni, fidanzata a Carmine, rimase un giorno aggrappata alla bara del giovane Brigadiere che aveva conosciuto quattro anni prima a Bianco. Il primo ed un grande amore, le nozze fissate, i mobili acquistati, la casa pronta per essere vissuta a Santa Caterina dello Jonio. Mancava soltanto il matrimonio che era stato fissato per il successivo mese di marzo. Al polso continuerà a portare l’orologio del fidanzato.
Sul luogo dell’agguato, Luciana fece costruire una lapide con una fotografia. Aveva scritto lei le parole incise sulla lastra di marmo. I fiori, ad oggi, non mancarono mai. Quelli di prato, che crescevano sulla vicina collina, mani ignote li posizionavano davanti alla foto. I Militi, che transitavano per la strada, lì sostavano per una preghiera e per ripulire la lapide. Erano gli stessi che per anni lo avevano seguito con entusiasmo, nel pericolo, volando più in alto delle aquile e mostrandosi più rapidi dei falchi, tra le montagne, nel cuore dell’Aspromonte, dove, insieme al loro Comandante, avevano sentito il respiro dell’Eterno.