Riflessione di Martino (Udc) sulla partecipazione delle donne al voto
"Nella ricorrenza della prima partecipazione delle donne al voto democratico, ripercorriamo il percorso travagliato compiuto per ottenere che i diritti delle donne fossero riconosciuti diritti umani". E' quanto scrive Marco Martino, coordinatore regionale Udc Giovani Calabria.
"La storia del voto alle donne - continua la nota - si intreccia con la lotta per l'emancipazione femminile e ha radici lontane.
Per restare nell'occidente cristiano,bisogna dire che le donne persero l'autonomia di cui godevano al seguito di Gesù (come appare dai Vangeli) quando i Padri della Chiesa accettarono le teorie della filosofia aristotelica. Si affermava la superiorità del maschio, dotato di virtù spirituali, mentre "tutto ciò che è immaturo e moralmente degenerato appartiene alla sfera femminile" per cui " il maschio è destinato alla vita pubblica, la femmina alla vita domestica e alla procreazione" (Aristotele, IV secolo a.C.).
Da vescovi, apologeti e dottori in odore di santità, la donna fu considerata: "la porta del diavolo" (Tertulliano, III secolo), forse non dotata di anima (Origene,II secolo), " più dannosa delle bestie selvagge " (Giovanni Crisostomo, anacoreta e santo, IV secolo).
Nei secoli successivi, sembra impossibile, per le donne andò di male in peggio.
Suffragata da tanti autorevoli pronunciamenti ecclesiastici, serpeggiava, anche ai più alti livelli, l'idea che le donne fossero esseri diabolici, dotate di arti magiche.
Nel 1484, il Papa Innocenzo III, che riteneva verità innegabile l'esistenza delle streghe, con la Bolla " Summis desiderantes Affectibus", dava mandato all'Inquisizione di estirpare il male con ogni mezzo possibile. Ciò che ne seguì è storia conosciuta, storia di inenarrabili sofferenze e ingiustizie, di torture e di roghi.
Dicono gli storici che le dottrine sulla donna contenute negli scritti degli Inquisitori hanno avuto influenza fino a tutto il XVIII secolo ma, siamo proprio certi che tale influenza non sia andata oltre? Nel 1891 Papa Leone XVIII nell'enciclica "Rerum Novarum" così scriveva
"certi lavori non si confanno alle donne, fatte da natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l'onestà del debole sesso".
La lotta delle donne, seguì percorsi diversi nei Paesi cattolici e in quelli protestanti.
La Controriforma cattolica aveva reso più rigida l'etica famigliare e sessuale e aveva ricacciato la donna fra le mura della casa o del convento. A loro volta, i filosofi dell'illuminismo non presero in considerazione l'ineguaglianza di genere, che ritenevano nell'ordine naturale della creazione.
La Riforma protestante, a sua volta, se non aveva confutato la teoria della subordinazione della donna, infatti, nell'immediato, non si verificò alcun cambiamento nella condizione femminile, (non mancarono episodi di caccia alle streghe), aveva, però, introdotto nuovi valori.
La Riforma postula una istruzione di base per tutti, uomini e donne affinché ciascuno possa leggere la Bibbia nel rispettivo idioma. Rivaluta la sessualità, chiude i monasteri, guarda con favore la libertà di scelta della donna nel matrimonio, rifiuta ogni dogmatismo ecclesiastico e propone l'etica della responsabilità individuale. Il riformatore Giovanni Calvino (XVII secolo) nel "Commento a Mosè" afferma che bisogna "rifiutare l'errore di coloro che pensano che la donna sia stata creata soltanto per popolare il genere umano" e si dichiara convinto che anche la sessualità è onorevole perché creata da Dio.
Con queste premesse, nei Paesi protestanti le donne si fanno sempre più agguerrite e denunciano con forza la condizione femminile, chiedono l' accesso alle università e parità di diritti.
Nel 1647, l'inglese Mary Astell postula più istruzione per le donne e chiede "se tutti gli uomini sono nati liberi perché le donne sono nate schiave?".
Mary Wollstonecraft utilizza le idee di libertà e di eguaglianza della rivoluzione francese in favore dei diritti e dell'istruzione delle donne. Fra l'altro, scrive "Pensieri sull'educazione delle ragazze" e nel 1792 pubblica "Rivendicazione dei diritti delle donne ", quei diritti che i teorici della Rivoluzione Francese avevano escluso dalla "Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino".
Alla donna era concesso un unico diritto, quello di morire, come scoprì Olympe de Gauges, il cui vero nome era Marie Gauze, autrice nel 1791 della "Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine", e per questo, ghigliottinata in Francia nel 1793.
Nel 1867, in Inghilterra nasce la prima società per il voto alle donne, fra i fondatori il filosofo John Stuart Mill.
Negli Stati Uniti sono tante le donne ( mogli di pastori, insegnanti) impegnate nelle attività ecclesiastiche, che chiedono più diritti nella famiglia, nella società, nella chiesa.
Nel 1888 Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony organizzano il "Concilio Internazionale delle Donne" e nel 1904, due anni prima della morte, la Anthony fonda "l'Alleanza delle Donne per il Suffragio Universale.
Alcuni anni dopo la fine della guerra 15-18, il voto alle donne è legge.
Nell'Italia medioevale e rinascimentale, soltanto a poche donne, figlie di principi, di nobili o di ricchi mercanti, era consentito istruirsi, quasi sempre nei conventi, mentre gli uomini potevano concludere i loro studi nelle università più prestigiose.
Alcune di queste donne privilegiate sentirono ingiusta una vita di eterne minorenni, sottomesse alla volontà del padre o del marito.
Prima ancora che i filosofi dell'illuminismo si dedicassero a formulare i diritti del cittadino, Laura Cereta, figlia di un ricco mercante, era nata a Brescia nel 1469. In collegio imparò a leggere e a scrivere. Tornata a casa all'età di nove anni, completò la sua educazione con la guida del padre che le insegnò il latino. Incurante dello scandalo, esternò nelle lettere il disagio per l'umiliante condizione femminile. La sua copiosa corrispondenza in latino, "Epistolae familiares", il cui argomento verteva sull'istruzione negata alle donne e sull'oppressione dello stato maritale, venne pubblicata nel 1488.
Nel 1640, Moderata Fonte, moglie di un ricco e potente uomo veneziano, Filippo dei Zorzi, in risposta a quanti consideravano le donne inferiori all'uomo, scriveva "Il merito delle donne", ma la famiglia le impedì di divulgare il suo scritto, che fu pubblicato dopo la sua morte.
Prima dell'unità d'Italia, gli Stati Italiani avevano legislazioni molto diversificate e spesso contrastanti. Alcuni concedevano alle donne alcuni diritti, altri, li negavano. Nato il Regno d'Italia, si rese indispensabile procedere all' unificazione dei sistemi legislativi operanti nel Paese. Fu, quindi, istituita una commissione con lo scopo di valutare le leggi esistenti e operarne una scelta. Le più avanzate legislature della Toscana e del Lombardo-Veneto, che riconoscevano alla donna capacità giuridica, furono rigettate dalla commissione che preferì, invece, adottare il Codice Albertino, risalente al re Carlo Alberto, limitativo dei diritti delle donne.
Nel 1877, Anna Maria Mozzoni, seguace dell'ideale mazziniano e fondatrice a Milano della "Lega promotrice degli interessi femminili", presentò la prima petizione politica per il voto alle donne appartenenti ad un ceto superiore. Il dibattito in Parlamento fu molto animato e si protrasse per diversi anni senza giungere a conclusione.
La socialista russa Anna Kuliscioff, di famiglia ebrea, aveva studiato filosofia all'università di Zurigo, dove era venuta in contatto con la cultura internazionale. Nel 1878 si stabilì in Italia, a Milano, dove fu introdotta nei circoli politici. Partecipò con grande passione alla lotta per la tutela del lavoro femminile e per il diritto al voto di tutte le donne italiane.
Poiché, oltre le donne, anche i maschi analfabeti erano esclusi dal voto, i deputati del partito socialista in Parlamento preferirono sostenere soltanto la richiesta del suffragio universale maschile, che fu approvato nel 1912. La richiesta di voto alle donne fu respinta con la motivazione del "diffuso analfabetismo femminile".
Nel 1919, il Parlamento, finalmente, approvò la proposta di legge per il riconoscimento della capacità giuridica della donna, ma ne rimandò l'attuazione alla successiva legislatura, cioè quando il potere era ormai nelle mani del governo fascista.
Ad onor del vero, anche Mussolini nel 1924 riconobbe alle donne il diritto di voto, solo per le elezioni amministrative. Fu un diritto rimasto sulla carta perché il regime dittatoriale fascista annullò ben presto il diritto al voto democratico della intera popolazione italiana.
Dopo anni e anni di lotte delle donne per il suffragio universale, il governo Bonomi, su proposta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, il 1 febbraio 1945 concede il diritto di voto alle donne e stabilisce liste elettorali distinte per maschi e femmine. Il 2 Giugno 1946, in occasione del Referendum su Monarchia o Repubblica, le donne italiane partecipano per la prima volta alle elezioni democratiche. E' il traguardo per il quale tante donne hanno lungamente lottato e sofferto. Nella ricorrenza di questa data storica il nostro ricordo riconoscente va a coloro che per prime hanno denunciato l'insostenibile condizione della donna, a coloro che hanno subito l'ostracismo famigliare, sociale, politico per aver chiesto di essere considerate esseri umani aventi gli stessi diritti degli uomini e non una sotto specie "accidentale e occasionale" creata a motivo della procreazione, come affermavano i santi Agostino e Tommaso d'Aquino. Il nuovo assetto democratico dell'Italia, nel 1947 dette vita alla Costituzione repubblicana, garante dei diritti civili, sociali, politici di tutti i cittadini italiani, senza distinzione di sesso, fede o razza.
Ancora oggi però - conclude Martino - vi sono donne vittime di abusi e preconcetti, vittime di odio, violenza fisica e psicologica. A loro, da tutto il movimento giovanile dell'Udc Calabrese, va la massima vicinanza!".