di Vito Barresi
Come va lassù ai piani alti e rarefatti, dove anche un sussurro diventa un dato sensibile all'orecchio dei raccoglitori tecnologici delle spy story, nelle atmosfere sottovuoto in cui albergano i vertici dell'Intelligence Tricolore, dopo la non prevista e spaventosa tragedia, la 'Charlie Hebdo' italiana a Tunisi?
Va da se che là sopra - dicono adesso e non più sottovoce, tra lo sconcerto e lo stupore, molti parlamentari sia di governo che d'opposizione - negli uffici ultra tecnologici del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (il complesso di organi e autorità che ha il compito di assicurare le attività di informazione per la sicurezza, allo scopo di salvaguardare la Repubblica da ogni pericolo e minaccia proveniente sia dall’interno sia dall’esterno del Paese) non solo si fa finta che non ci sia tempesta a terra quanto ci si affretta a dissimulare che non alita neppure un soffio di vento a primavera.
Bocche cucite e consegna del silenzio anche per assorbire la sberla di lancinante dolore provocato da un gancio omicida assestato sul volto dell'élite spionistica del Bel Paese. Forse in ossequio a quel protocollare 'aplomb' di stato, ormai stereotipato tra stentoreo e formalistico, tanto tipico quando ai vertici politici, amministrativi e militari dei Servizi tocca impegnarsi nella conclusiva, amara e misericordiosa manovra delle esequie, l'allestimento a specchio istituzionale delle pompe funebri nazionali per riportare e accogliere sul suolo della Patria ben quattro morti.
Dicasi ancora quattro, innocenti assassinati, caduti sull'impervia strada di un terrorismo in versione tunisina che di fatto, a dire dei più puntuti ma rigorosi osservatori di tali affari, in questi mesi, è stato lasciato tatticamente smarcato e libero di agire. Probabilmente anche cagione delle velleitarie mire di una vagheggiata e programmata grande crociata renziana contro l'Isis, non già in Tunisia ma in Libia, mentre di fatto restavano incompresi, non analizzate e sottovalutate le segnalazioni che provenivano in fitta segnaletica dalla vicina Tunisi, dove il clima di violenza anti italiana era stato in qualche modo già preannunciato dall'ancora misteriosa morte di un calabrese, Massimo Bevacqua, docente universitario, riconosciuto arabista, ritrovato senza vita nella sua dimora di Sidi Bou Said.
E anche se in molti lo vorrebbero ascoltare in Aula, davanti al Parlamento per riferire in merito, tace per il momento proprio il 'dominus', per così dire il sovrano derivato del Presidente Renzi, Domenico Marco Minniti, il Sottosegretario di Stato, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, che lasciata la Calabria dove ebbe inizio la sua carriera politica, è assurto al potente rango di 'Richelieu dello Stretto' di stanza a Palazzo Chigi.
A dire dei suoi non pochi antipatizzanti, Minniti avrebbe fondato una vera e propria 'scuola' di pensiero molto influente sul premier Renzi che con una audace manipolazione ideologica si spingerebbe fino al piano di teorizzare un collegamento oggettivo e materiale tra il fenomeno della immigrazione clandestina e quello del terrorismo islamico. Il 'teorema di Marco' per combattere l'Isis in prima linea europea subordinerebbe, seppure in via eccezionale e transitoria, persino i più universali doveri della solidarietà, dell'accoglienza e del dialogo, per effettuare continue indagini di prevenzione e repressione, al fine di disporre di dati conoscitivi certi come le impronte digitali e il dna.
Schieratosi a favore di più poteri concentrati nella mani di una nuova struttura, la istituenda procura antiterrorismo, tra dubbi e ostacoli, sovrapposizioni e contrasti con l'antimafia, torna prepotente la domanda sul ruolo dell'intelligence in Italia. Che per il Cardinale Rosso venuto da Reggio Calabria resta quello di 'prevenire la minaccia degli attentati asimmetrici guardando alla simmetria variabile dello Stato, introducendo nuovi parametri di valutazione dei rischi e degli alert.'
Belle parole che pur assicurando l'autocompiacimento, tuttavia non confortano ma rischiano di svuotare ancor di più il già provato cervello degli italiani. Sempre più impauriti, sgomenti, disorientati. E alla fine quasi rassegnati di dover essere un vaso di coccio tra vasi di ferro.
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