Tutti contro Gratteri: il giudice “giudicato”, trent’anni fa accadeva a Falcone

29 dicembre 2019, 10:28 Imbichi
Nicola Gratteri

Nonostante le numerose manifestazioni di sostegno ed i gesti di stima, si registrano numerosi attacchi contro il procuratore a seguito della maxi-operazione Rinascita-Scott, che si sommano per la prima volta all’assordante silenzio che buona parte della classe politica (e non solo) riserva sistematicamente alle inchieste contro la ‘ndrangheta e i sistemi criminali della regione.


di Francesco Placco

Non si placano le polemiche attorno all’operazione Rinascita-Scott (LEGGI), più generalmente rivolte a Nicola Gratteri. Tutto è iniziato con l’imbarazzante post – successivamente cancellato – di Enza Bruno Bossio (QUI), dal quale ha subito preso le distanze il Partito Democratico, che non ha fatto altro che rispolverare un vecchio astio di una parte della classe dirigente nei confronti del procuratore.

La Bossio infatti è la moglie di Nicola Adamo, che oltre ad essere uno degli indagati nell’attuale indagine fu anche colui che lo scorso giugno presentò un esposto proprio contro Gratteri (LEGGI), accusandolo – guarda caso – riguardo le “modalità di comunicazione” inerenti altre due indagini.

Ma i politici, e più generalmente i diretti interessati, non sono stati gli unici a muoversi contro il procuratore. Il Consiglio ed il Collegio della Camera Penale hanno espresso solidarietà a Giancarlo Pittelli (LEGGI), avvocato finito al centro del ciclone già dodici anni fa - ed attualmente trasferito in carcere a Nuoro (LEGGI) - nel corso dell’inchiesta Why Not (LEGGI), guidata dall’allora procuratore Luigi De Magistris, che proprio in questi giorni si è tolto qualche sassolino dalla scarpa (QUI) riguardo il suo allontanamento, riconosciuto dalla Corte di Appello come un vero e proprio abuso d’ufficio (LEGGI).

È arrivata anche la stoccata da parte dell’Unione delle Camere Penali Italiane (LEGGI), che con un comunicato pare voler suggerire gli scarsi successi ottenuti da Gratteri, sotto forma di condanne definitive ed arresti concreti. Insomma, a seguito delle “roboanti conferenze alla stampa” vengono annunciati puntualmente centinaia e centinaia di indagati e di arrestati, ma alla fine buona parte di questi risulta “puntualmente” estranea ai fatti.

A completare il quadro, è arrivata anche l’accusa del procuratore generale di Catanzaro, Otello Lupacchini (LEGGI), che ha apertamente criticato l’operato di Gratteri in quanto avrebbe preferito andare a parlare alla stampa piuttosto che comunicare con la procura stessa. Una affermazione evidentemente non necessaria, per la quale lo stesso Lupacchini ora rischia il trasferimento. Insomma, da più fronti arriva l’accusa – velata o meno – di esibizionismo, di protagonismo, di appariscenza.

Si vedrà, con il passare del tempo e con l’avanzare delle indagini, come si concluderà anche questa inchiesta. Tuttavia, il “clima infame” che si è creato attorno a Gratteri riporta la mente ad altri tempi non troppo lontani, al 1991 per la precisione.

Anni meglio noti come la “stagione dei veleni”. Non è difficile ricordare (o scoprire) di cosa veniva accusato, ad esempio, Giovanni Falcone appena un anno prima di saltare in aria: di essersi prestato ad un “giornalismo mafioso” (QUI) volto a screditare “la migliore classe politica siciliana”, o di essere manovrato da una certa politica (QUI) per ottenere “un posto nei palazzi”.

Parole che oggi suonano come assurde, impensabili, ma che all’epoca contribuirono a dipingere l’immagine di un magistrato megalomane. Immagine che oggi, in un certo qual modo, si cerca di dipingere addosso a Gratteri, con accuse e parole altrettanto imbarazzanti.

Tutto sembra fermo, in fondo, a quegli anni. Le persone chiedono giustizia, controlli, verifiche, indagini, mentre gli indagati si trincerano e si difendono l’un l’altro. La giustizia appare lenta – troppo lenta – e soprattutto poco incisiva: non basta una maxi-operazione a sgominare un sistema criminale, anche perché dopo ogni blitz che doveva decapitare questa o quella cosca, pare di trovarsi sempre punto e a capo. E come se non bastasse, lo Stato non appare coeso neppure sul operato.

Tutto sembra fermo, in effetti, a quegli anni. Perché, come disse amaramente lo stesso Falcone: “Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è la tua che non l’hai fatta esplodere”.