Non l’elevato numero dei contagi - pur sempre in aumento - ma gli scarsi numeri registrati dal sistema sanitario regionale, già in affanno e con evidenti e note difficoltà di gestione. Una disorganizzazione che ci piazza ben al di sotto della media nazionale e che ha fatto balzare il rischio potenziale alle stelle, costringendoci ad una nuova serrata.
di Francesco Placco
E pensare che anche la Germania aveva “graziato” la Calabria, ritenendola l’unica regione non a rischio d’Italia (QUI). Ma nell’ultima settimana le cose sono cambiate, ed anche i dati forniti dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (QUI) hanno certificato che la punta si è adeguata al trend dello Stivale, con un numero sempre maggiore di casi positivi.
Anche per questo motivo la Calabria è stata inclusa tra le zone rosse (LEGGI) assieme a Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, e sottoposta dunque a misure restrittive più severe per le prossime due settimane, al termine delle quali verrà effettuata una nuova valutazione. Un nuovo lockdown, come l’apostrofano in molti, che prevede la serrata della maggior parte delle attività commerciali.
Ma Calabria e Valle d’Aosta rappresentano due outsider, visto il basso numero di contagi riscontrato. Le due regioni, alle estremità opposte della Penisola, da inizio pandemia hanno registrato, ad oggi (QUI), rispettivamente 6112 e 3729 casi di positività, risultano in fondo alla classifica nazionale.
Tuttavia, entrambe si sono caratterizzate per le difficoltà registrate dal sistema sanitario locale, incapace di gestire la pandemia e addirittura di tenere il passo con il tracciamento dei contagi.
Stando all’ultimo bollettino regionale (LEGGI) sono stati eseguiti 282.942 tamponi che hanno interessato 280.076 soggetti, su un totale di circa 2 milioni di abitanti: letto in altro modo, è stato controllato all’incirca il 14% della popolazione, spesso con forti ritardi.
Inoltre, molte postazioni allestite per i tamponi sono fatiscenti, così come dimostrato in un servizio televisivo (QUI) presso l’Usca di Serra Spiga, nel cosentino.
C’è poi il nodo delle terapie intensive, che la Regione quantifica in 152 postazioni operative e quindi al di sopra delle cifre previste dal piano anti-covid.
Tuttavia, sono in molti a ritenere che questi numeri si riferiscano a postazioni ancora sulla carta, viste anche le difficoltà denunciate dagli ospedali di Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza, che sarebbero già in affanno ed al completo (QUI), nonostante il basso numero “ufficiale” di ricoverati.
A tal proposito, nella giornata di ieri, prima che parlasse il Premier, la Regione Calabria aveva modificato il criterio di conteggio dei ricoverati (QUI), diminuendo così il numero di ricoveri in terapia intensiva da 26 a 10 in appena due ore.
Un tentativo estremo per scongiurare la proclamazione della zona rossa, ma che evidentemente non solo non è servito, ma ha finito anche per peggiorare le cose?
Questo perché sono ormai diverse le fonti nazionali che nelle ultime settimane hanno bollato come inaffidabile la Regione, arrivando addirittura a ritenere che le cifre ufficiali siano in qualche modo falsate (QUI) per dare la parvenza di una situazione sotto controllo.
Affermazioni che si fanno sempre più insistenti e che hanno contribuito a prolungare ulteriormente il commissariamento della sanità, così come previsto dal “nuovo” Decreto Calabria (LEGGI).
Commissariamento che nel 2021 compirà 13 anni e che, comunque, aldilà dei limiti della politica locale e delle Asp Calabresi - tre delle quali continuano ad essere commissariate per infiltrazioni mafiose (QUI) - non ha contribuito in alcun modo a migliorare la situazione della sanità calabrese.
A fine mandato, nel 2023, avremo vissuto un commissariamento di 15 anni, ed il suo superamento sembra ancora ben lontano, se queste sono le premesse.