Fallimento “Alitalia”: Ministero dell’Economia condannato dal Tribunale
Una notizia a dir poco clamorosa da parte dello “Sportello dei Diritti”. La nota vicenda del fallimento “Alitalia” giunge ad uno strepitoso quanto atteso epilogo per gli azionisti di minoranza che vedono condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze alla restituzione dei propri soldi a loro tempo investiti.
A stabilirlo è il Tribunale Civile di Lecce con sentenza n. 2391/2015 del 14/05/2015, passata in giudicato, all’esito della causa n. 198/2012 intrapresa dall’avvocato Francesco Toto nell’interesse degli azionisti di minoranza e dei piccoli risparmiatori incappati nello scellerato dissesto della vecchia compagnia aerea di Stato.La sentenza è chiara in punto di fatto e di diritto. Accolta la domanda del capofila dei piccoli azionisti, il Tribunale ha ritenuto che, sia il danno per protrazione ingiustificata dell’attività di un’impresa in crisi irreversibile, sia soprattutto il danno da affidamento incolpevole nelle false dichiarazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in qualità di Presidente del CDA Aliatalia, tutte protese a rassicurare i creditori ed il mercato circa il salvataggio, il rilancio e il mantenimento della continuità aziendale della compagnia di Stato, debbano essere risarciti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze secondo l’articolo 2043 del codice civile, più gli interessi e la rivalutazione. Un’operazione che vale oggi circa 3,5 miliardi di euro e che è destinata a conseguenze epocali a danno del MEF per le migliaia di analoghe azioni che potrebbero approdare nei Tribunali d’Italia, in astratto circa 20.000 (perché tanti sono gli azionisti interessati).Nel corpo della motivazione troviamo l’encomiabile dovizia di particolari incontrovertibili del Magistrato del tribunale salentino. Egli ritiene infatti “…provata la sussistenza di tutti i presupposti necessari per configurare la responsabilità del MEF convenuto ai sensi dell’art. 2043 c.c., attesa la prosecuzione dell’attività aziendale di Alitalia Linee Aeree Italiane SpA pur in mancanza di prospettive industriali e determinando così l’affidamento incolpevole degli azionisti circa la volontà dello Stato di sostenere Alitalia e di evitare il fallimento e l’insolvenza della società.”.La prova offerta dall’avv. Francesco Toto, si legge, “...è versata in atti” e, segnatamente, (proprio!) in Relazioni e Bilanci del Gruppo Alitalia, nella Relazione del Commissario Straordinario, prof. Avv. Augusto Fantozzi, e in altra scottante documentazione che non lascia spazio a dubbi: gli azionisti di minoranza devono essere risarciti perché la compagnia di bandiera non doveva fallire, almeno così sosteneva il Ministro dell’Economia e delle Finanze oltre a tutti i politici allora in lotta per la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2008.Che il Governo Prodi (va rammentato) e ancor di più l’ex cavaliere manifestassero il proprio appoggio al progetto di salvataggio della Compagnia di Stato si rivelò circostanza atta a rafforzare il convincimento degli investitori. A sostegno del principio di omogeneità ed univocità degli intenti di sostenere per poi privatizzare e rilanciare Alitalia, il premier uscente, d’intesa con il premier in pectore, varò un prestito cosiddetto “ponte” di 300 milioni di euro, all’espresso fine di evitarne il commissariamento, creando le premesse per una soluzione alternativa a quella francese. Come peraltro “pressantemente” imposto dall’ex cavaliere, che divenne poi di lì a poco Presidente del nuovo Governo anche grazie a questo “cavallo di battaglia”.Senonchè durante le operazioni e le trattative di vendita ad Air France KLM, il 06 giugno 2008 il titolo Alitalia, con sommo stupore degli azionisti di minoranza, veniva sospeso dalle contrattazioni in Borsa Italiana per non essere mai più riammesso. In violazione ad ogni principio e diritto ad avere corrette, precise e preventive informazioni a tal riguardo dal MEF. Le azioni da quel momento varranno zero.Il famoso “Piano Fenice” si rivelò da subito un “pasticcio” strumentale, utile a pochi (un manipolo di imprenditori chiamati a prendersi ad un prezzo irrisorio le parti produttive della compagnia di Sato) e non certo progettato per salvare la vecchia ma gloriosa Alitalia. Infatti, il 29/08/2008, con stupefacente sorpresa di tutti, tranne degli “addetti ai lavori” appunto, il neo Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, disponeva l’ammissione di Alitalia alla procedura di amministrazione straordinaria. Il Governo, dunque in data 29 agosto 2008 nonostante tutto, rinunciò improvvisamente e definitivamente alla ricerca di un compratore della quota di controllo avviando la procedura di amministrazione straordinaria contro ogni progettualità propagandata fino ad allora sia dai vertici della Compagnia (MEF) che dal neo Presidente del Consiglio di Forza Italia. Tutta questa attività, niente altro che artificiosa e teatrale messinscena, finì per provocare gravissimi danni non solo agli azionisti di minoranza, rimasti con un pugno di mosche in mano, ma a tutti coloro che avevano creduto alla promessa di salvataggio e rilancio della, unica vera, compagnia di Stato: Alitalia Linee Aeree Italiane Spa.Certo è che oggi è ancora “Pantalone” a dover pagare. Certo è che senza l’azione promossa da Toto e fortemente sostenuta dallo “Sportello dei Diritti” di cui è presidente Giovanni D’Agata, che attraverso i propri legali - per l’appunto Francesco Toto e Francesco D’Agata che ci hanno sempre creduto - nessun piccolo risparmiatore, azionista e creditore avrebbe oggi di che sperare nella possibilità di un concreto e sollecito risarcimento.Al riguardo poi ricordiamo che il 5 dicembre 2013 era stata depositata una pubblica denuncia dai legali dello “Sportello dei Diritti”, D’Agata e Toto, presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Lecce la quale rimane ad oggi lettera morta forse perché i vertici dell’Ufficio (prima di questa scottante pronuncia) non avevano rilevato alcun pubblico interesse ad accertare ulteriori responsabilità penali nella vicenda.Per opportuna conoscenza di tutto il pubblico ed al fine della massima diffusione, si trasmette, quindi, copia della sentenza integrale.