Sanità. Tutti contro il commissario: e se Scura avesse ragione?

Calabria Salute Vincenzo Ruggiero

E se Scura avesse ragione? Se il “dilemma” della sanità calabrese andasse affrontato a muso duro contro tutto e tutti? E se i tagli di reparti, posti letto, piccoli ospedali, convenzioni milionarie (esistenti o in itinere), “fiocchi e cotillon”, avessero bisogno e velocemente di una “scure” tosta e determinata?

Certo, prendere le difese - così come sembrerebbe - del commissario ad acta della Calabria, in questo momento può apparire un harakiri. Ma combattuto tra l’indole da “bastian contrario” e di possibilista ad ogni costo, mi lascia perplesso l’univoca levata di scudi nei sui confronti da parte della politica, locale quanto regionale; la stessa che, negli ultimi decenni, non è che abbia fatto alcunché per risolvere la faccenda.

Ciò mi fa tornare la memoria ad una discussione, di qualche tempo fa, in cui un bravo sociologo mi spiegò come noi meridionali si sia sempre diffidenti e ostili l’uno dell’altro ma comunque sempre pronti a far branco per sbranare l’intruso; soprattutto se questi cerchi di sottrarci il pasto dalla ciotola in cui siamo avvezzi rifocillarci.

È pur vero, si badi, che i livelli minimi di assistenza sanitaria, in uno Stato che si dica “sociale”, vadano preservati. Così com’è sacrosanto che chiunque debba accedere alle cure possa farlo, per non appesantirne il disagio, il più possibile vicino casa.

È altrettanto vero, però, che la situazione finanziaria della sanità regionale (pubblica e privata e forgiata, non lo si dimentichi, da anni di occupazioni clientelari ed affaristiche) è alla sfracello; e se si tiene conto che il suo peso economico nel bilancio dell’Ente territoriale, a sua volta anch’esso martoriato, è tra i più gravosi (se non il più gravoso), i conti sono belli e fatti. C’è poco da battere i piedi e stracciarsi le vesti!

Stabilito lo stato dell’arte, bisogna che tutti ci si interroghi, e con pragmatica lucidità, sulla realtà: la sanità, così com’è, è insostenibile, economicamente e logisticamente. Ce ne lamentiamo tutti: nelle chiacchiere da bar, in fila mentre si prenota una esame clinico o una visita specialistica, nella aule di enti e istituzioni (se non anche di tribunali).

È insostenibile per una Calabria col tasso di disoccupazione più alto, il reddito più basso e il Pil più scarno d’Italia e d’Europa. È insostenibile per i cittadini, che negli anni hanno visto calare la qualità di alcuni servizi a fronte dell’aumento del costo del ticket; o che sono stati indotti sempre più a far ricorso a cure private, che hanno dissanguato i loro esigui portafogli gonfiando spesso quello di altri.

È insostenibile per i professionisti della sanità pubblica (e ce ne sono tanti!) frustrati da carriere clientelari, piuttosto che da tagli di budget, da croniche carenze di personale e tecnologie che li espongono, inevitabilmente, anche ad errori poi “etichettati” sommariamente come casi di malasanità.

È insostenibile per altrettanti professionisti della sanità privata, chiamati a surrogare le presunte carenze del pubblico ingobbendosi sotto il peso della precarietà, dell’incertezza sulla regolarità dei loro salari, in taluni casi dalla costrizione ad operare in contesti al limite della liceità pur di produrre prestazioni e, dunque, ricavi per (im)prenditori senza scrupoli e a carico di noi contribuenti.

È insostenibile per i sindacati di categoria, taluni impegnati più a tutelare interessi di parte (a volte anche solo quelli datoriali o politici) che le risorse professionali capaci e volenterose di migliorare l’offerta e la qualità sanitaria.

È insostenibile, infine, per una classe politica, di destra e di sinistra, in grado finora solo di duellare sulle pregresse responsabilità, perdendo di mira l’obiettivo, non decidendo e contribuendo così a peggiorare solo le cose: Cchiù longa è a pinsata cchiù grossa è a minchiata usano dire sornioni i nostri vicini siciliani.

E intanto arriva in Calabria l’ingegnere Varesotto: laurea al Politecnico di Torino (non in qualche improbabile università estera), esperienza industriale, ex sindaco, ex direttore generale di aziende sanitarie toscane. Un bel curriculum alle spalle e carattere tipicamente ‘lumbard’: gente abituata a parlare chiaro (poco) e ad agire (molto).

Errori ne avrà pure commessi in questi mesi, sia ben chiaro!, ma un merito non si può non riconoscergli. Scura ha svegliato, col suo cipiglio incazzoso, il cane che dorme “rinfacciandogli” (e “rinfacciandoci”) alcune delle verità che nessuno vuole sentirsi dire: cioè ed in sintesi che finora s’è fatta solo “fuffa”, il nostro orto di casa è ormai rinsecchito, che si spreca troppo e che i fasti d’un tempo sono passati.

Troppi posti letto in reparti ospedalieri (pubblici e privati) che divengono sempre più dormitori “fruttiferi”; la mancanza di un piano strutturato dell’offerta sanitaria costruita sui bisogni specifici e specialistici dei singoli territori; l’incongruità di più strutture sanitarie insistenti sulle stesse e limitate aree geografiche, e tanto altro ancora: sono lussi che la regione non deve e non è più in grado di sostenere, per non rischiare il default. E sentire ciò, purtroppo, fa male!

In parole povere l’obiettivo di una razionalizzazione, ottimizzazione ed economizzazione dell’assistenza sanitaria regionale, se si vuole uscire dall’empasse, non può non passare inevitabilmente da scelte “dolorose”, dalla perdita di benefici diretti per la collettività ma estremamente costosi, così come dalla rinuncia di “rendite di posizione”.

Per questo credo che amministratori locali e non, semplici cittadini - che hanno tutti il sacrosanto diritto di non condividere le scelte e le proposte di Scura - devono però mostrare più coraggio e lungimiranza, valutando e costruendo con lo stesso commissario (che per ora, e comunque la si veda, è l’organo deputato a questo scopo) un percorso condiviso di ristrutturazione della sanità; nel rispetto delle peculiarità e delle esigenze particolari di ogni territorio, aprendo un confronto chiaro, costruttivo e sostenibile, fondato su una visione “regionale” e non solo campanilistica.

Il contradditorio, d'altronde, rimane pur sempre il miglior strumento di democrazia partecipata, se non abusato con capricciosi piagnistei.

V.R.