Alla Lanzetta il premio per la Legalità da parte dell’Unsic
Il 9 dicembre Maria C. Lanzetta, già Sindaco di Monasterace e Ministro per gli Affari Regionali, oggi Presidente Associazione “Umberto Zanotti Bianco”, riceverà ancora un premio per la Legalità da parte dell’Unsic (Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori): Premio Cultura D’ Impresa per la Sez. Cultura e legalità, che verrà consegnato alle ore 18 nella “Sala delle Colonne” del Palazzo Sanseverino-Falcone di Acri.
La Lanzetta ha partecipato a molti incontri durante il 2015. Il Premio di Acri, per parlare solo del mese di novembre, è stato preceduto dagli incontri di Pisa, facoltà di Farmacia, per incontrare gli studenti e per parlare di “Coraggio. Virtù civile, professionale, imprenditoriale”; di San Daniele del Friuli, premiata dall’Associazione “Per la Costituzione” sul tema “Una vita spesa per la legalità-Uomini e Donne delle Istituzioni”; di Milano il 23 per la partecipazione al Premio “Giorgio Ambrosoli” 2015, già ricevuto nel 2013, per premiare le sorelle Fonte, la cui mamma, sindaco di Nardò, che ha saputo resistere a tutte le pressioni, opponendosi all’abusivismo edilizio, il 31 marzo 1984 è stata assassinata con tre colpi di pistola di ritorno da un consiglio comunale.
Il Premio “G. Ambrosoli” è stato consegnato anche Gaetano Saffioti, l’ imprenditore calabrese che ha deciso di denunciare i suoi estorsori, diventando testimone di giustizia, e a Sandro Donati, allenatore di atletica leggera figura di riferimento nella lotta internazionale al doping.
Sono state conferite altresì tre Menzioni Speciali ad Alberto Lomeo, medico e primario dell’Ospedale Cannizzaro di Catania, a Enrico Bini, imprenditore e già Presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia, e al ciclista Filippo Simeoni, campione italiano su strada nel 2008.
Il Premio “Giorgio Ambrosoli” si consegna per “l’integrità, la responsabilità e la professionalità” di chi ha fatto della Legalità il motore della propria vita privata e pubblica.
Incontri e premiazioni che non sempre si riferiscono alle problematiche mafiose, oramai presenti in tutta Italia, ma si prefiggono di mettere in luce anche chi lotta contro le illegalità quotidiane, perché molto diffuse e perché consentono di portare alla luce comportamenti, pratiche amministrative, pratiche ludiche, abitudini e quant’altro costituiscono la base che consente alla criminalità organizzata, intesa nel senso più ampio, di trovare già il terreno fertile per mettere in atto le sue azioni criminali con più facilità, con più “normalità”.
“Non mi riferisco ai complici diretti dei loro crimini- ha affermato più volte Don Luigi Ciotti- ma, più generalmente all’individualismo insofferente delle regole che,pur non rientrando nella fattispecie dei reati mafiosi, ne costituiscono l’habitat ideale, lo spazio in cui le mafie allargano il loro già immenso potere. Non è un paradosso allora affermare che la forza delle mafie sta anche fuori dalle mafie.
La lotta alla illegalità diffusa è una lotta che deve partire da elementi fondanti: 1)la politica come servizio al cittadino e non come dinamica di potere personale;2)tutti i cittadini devono essere Fedeli alla Repubblica, perché da questa fedeltà discendono comportamenti coerenti con i valori e i principi Costituzionali per significare un modo e uno stile di essere Cittadini.
Il bisogno di conoscenza della Costituzione l’ha dimostrato il coraggioso esempio di Roberto Benigni che, definendola “la più bella del mondo”, ha sperimentato la sua lettura nelle piazze e in televisione, strappando applausi ed emozioni recitando gli articoli della Carta Costituzionale con esempi di vita quotidiana.
Per spiegare cosa significa rifiutarsi di essere strumento di legittimazione della criminalità comune e organizzata basta fare un esempio altissimo di senso dell’etica privata e pubblica, pagata purtroppo con la vita.
“Pagherò a caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica per fare qualcosa per il Paese…Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo che lo saprai fare benissimo”.
Sono le conclusioni della lettera che Giorgio Ambrosoli ha scritto alla moglie dopo aver accettato l’incarico di commissario liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona.
Ambrosoli è stato ucciso nella notte tra l’11 luglio e il 12 luglio del 1979 a Milano da un Killer che l’ha tormentato per tanto tempo per convincerlo a lasciare l’incarico. Cosa che Ambrosoli non fece.
Ricordare le parole di Ambrosoli significa ricordare le parole più alte pronunciate da un uomo, “esempio altissimo di virtù civili”, ha scritto Carlo Azelio Ciampi. Esempio altissimo di Etica privata al servizio di quella pubblica e viceversa.
Non è l’unico esempio in Italia, ma è il più alto e il più fulgido esempio di lotta per la legalità in un periodo in cui si veniva a delineare il torbido intreccio tra criminalità e forze eversive con un disegno destabilizzante di natura politica. E’ l’esempio sacrificale che ha più scosso e commosso i cittadini italiani e non solo, in quanto Ambrosoli è cosciente fino in fondo che “qualunque cosa può succedere” e ha il coraggio civile di comunicarlo alla famiglia; un coraggio che scaturisce dal fatto che l’incarico costituisce “un’occasione unica per fare qualcosa per il Paese”. Nessuno lo ha costretto, nessuno glielo ha imposto, poteva benissimo non accettare, ma l’etica privata e pubblica in Ambrosoli erano talmente interconnessi da portarlo alla scelta che ha fatto. E a Lui tutti noi dobbiamo molto.
All’incontro all’Università di Pisa la Lanzetta ha incontrato i giovani studenti che esibivano il “libretto rosso” sul Coraggio scritto da Umberto Ambrosoli.
Il coraggio, da una parte, è soprattutto conseguenza delle scelte che si fanno ogni giorno: chi frequenti, con chi prendi il caffè, in quale negozio fai la spesa, ecc.; dall’altra può essere declinato come “il coraggio della paura”, nel senso che avere coraggio non significa non avere paura, perché altrimenti rischi di diventare un incosciente, nel senso buono delle parola.
Ci si riferisce alla paura che la tua città, il tuo paese, la tua nazione e la tua famiglia possano rischiare di vivere in un ambiente privo di Regole, di Legalità, privo del senso di Comunità: di vivere in un luogo in mano alla criminalità organizzata, in mano ai politici corrotti, ecc.
Per chi si sente distante da questa società criminalmente e corruttivamente organizzata, e sei stata educato/a al rispetto delle regole e della legalità, il coraggio è una conseguenza della proprio modo di essere e della buona educazione ricevuta in famiglia, che significa anche alto senso del dovere verso tutto e tutti.
Lo dicevano anche Falcone, Borsellino e tanti altri: è logico e umano avere paura, ma, nello stesso tempo, affermavano il diritto-dovere di lavorare per una società migliore, soprattutto perché questo è il nostro dovere e perché noi siamo lo Stato.