Cgil Reggio e LaborEst su dramma dell’emigrazione giovanile
Sabato 19 dicembre, presso la sala Calipari del Consiglio Regionale, si è tenuto un convegno sul tema “Le nuove generazioni al centro della Metro Youth”, organizzato dalla CGIL di Reggio Calabria-Locri con il supporto scientifico del LaborEst. Il convegno era dedicato alla presentazione dei risultati di un’inchiesta, condotta su alcune classi dell’ITC “Piria”, sul rapporto tra giovani e città metropolitana, che ha fatto emergere una preoccupante aspirazione dei giovani reggini (63%!) ad andare via appena finita la scuola; a conclusione dell’incontro una studentessa ha posto una domanda: “perché dovremmo rimanere a Reggio?”. In chiusura di convegno, la domanda è rimasta inevasa: adesso Mimma Pacifici, segretario generale della CGIL di Reggio Calabria-Locri, e Francesco e Calabrò con Lucia Della Spina, responsabili scientifici del LaborEst, attraverso questa nota intendono assumersi la responsabilità di una risposta, con l’auspicio di aprire un dibattito sul dramma dell’emigrazione giovanile e favorire la rapida individuazione di possibili soluzioni, prima che sia troppo tardi.
“Gentile Valeria,
alla fine, dopo tante chiacchiere, la tua domanda “Perché dovrei rimanere a Reggio Calabria?” è rimasta senza risposta.
Il momento conclusivo del convegno organizzato dalla CGIL sul rapporto tra giovani e città metropolitana non era quello più adatto per rispondere: troppo profonda la domanda, troppo articolata la necessaria risposta, ma non intendiamo eludere il quesito.
Perché la domanda che hai posto è la domanda che ci sentiamo ripetere tutti i giorni da tanti altri ragazzi che, come te, non riescono a cogliere la drammaticità di questa scelta. E se questa domanda ritorna a ogni incontro, allora anche noi “adulti” dobbiamo interrogarci su cosa abbiamo sbagliato per portarvi a questi interrogativi.
E ovviamente non pretendiamo di dare una risposta esaustiva o rivelarti alcuna verità: possiamo solo dirti qual è il nostro punto di vista. Se tu e i tuoi compagni vorrete, potremo approfondire ancora l’argomento, anche d’accordo con i vostri insegnanti.
L’altra premessa che occorre fare è che confrontarsi sul perché i giovani dovrebbero rimanere in Calabria non significa pensare a forme di isolamento dal resto del mondo, tutt’altro! E’ assolutamente indispensabile, oggi più di ieri, conoscere il resto del mondo, imparare da chi è più avanti di noi, dialogare con chi sta affrontando problemi analoghi ai nostri, poter scambiare anche beni e servizi con il resto del pianeta: solo così potremo migliorare le nostre condizioni attuali.
A nostro avviso, è ovvio che oggi molti di voi vogliano fuggire da qui a causa della mancanza di prospettive lavorative; ma siamo convinti che questa motivazione, pur reale (!), per molti celi un altro fattore determinante, cioè che si vergognano di essere calabresi: se, però, non siete orgogliosi di essere calabresi, se non vi abbiamo fatto comprendere per quali motivi bisogna esserlo, la colpa non è vostra.
Se non siamo riusciti a darvi il senso di appartenenza a una comunità, quella nella quale siete nati e cresciuti non è colpa vostra. Se tra i vostri bisogni primari non avvertite quello di realizzarvi pienamente come persone all’interno della vostra comunità, allora dobbiamo innanzi tutto riconoscere il nostro fallimento come genitori, come insegnanti, come cittadini, come politici.
Perché la prima risposta è questa: se tu ti senti parte della comunità in cui vivi, se senti davvero tuoi i legami e le relazioni che trasformano un gruppo di individui in una comunità, allora rimanere nella tua terra è una tua esigenza, un tuo bisogno primario, non una condanna, un obbligo.
Ma forse, anzi più probabilmente, la comunità non siamo riusciti a costruirla proprio: per meglio dire, quella che c’era l’abbiamo distrutta e non siamo riusciti a costruirne un’altra. Quindi non esiste nulla a cui tu e molti tuoi coetanei possiate sentirvi legati.
E questo non può darcelo nessun politico. Siamo noi cittadini, ognuno di noi per il ruolo e le responsabilità che ha, che dovrebbe avvertire l’esigenza di operare quotidianamente in questa direzione.
Perché l’emigrazione è un dramma? Perché è un po’ morire.
Abbiamo visto tanti nostri familiari e amici andare via da Reggio per realizzarsi altrove: il giorno in cui li abbiamo salutati per noi è come se fossero morti, anche se sapevamo che li avremmo rivisti ancora; in estate, forse a Natale, almeno fin tanto che fossero rimasti a Reggio i loro genitori, poi probabilmente non avremmo saputo più nulla di loro. Ma soprattutto, il giorno della loro partenza, recidevano i legami che ci univano: le passeggiate, le partite a pallone, le chiacchierate fiume per gli amori finiti o non corrisposti.
Se non riuscite ad attribuire valore a questi legami, ai luoghi che frequentate, alla memoria che vi siete formati crescendo qui e non altrove, non è colpa vostra: sono le generazioni che vi hanno preceduto che hanno creduto bene di distruggere tutto ciò che avevano ricevuto in eredità dal passato, a partire appunto dall’orgoglio di essere calabresi.
Certamente abbiamo tanto di cui vergognarci, ma anche tanto di cui essere orgogliosi. Solo che i motivi di vergogna vengono quotidianamente amplificati dai mezzi di comunicazione, per cui alla fine ci convinciamo quasi di essere ‘ndranghetisti anche noi e che l’unico modo per non essere assimilati a questi delinquenti sia andare via. Mentre i motivi per cui essere orgogliosi non fanno notizia.
O come se certi meccanismi che da noi condizionano pesantemente la civile convivenza, non siano gli stessi meccanismi che in tutto il resto del mondo improntano i rapporti tra i gruppi di potere.
Poi magari, quando sarete adulti capirete che il sistema delle relazioni personali ha anche un valore economico, tant’è che si parla di capitale sociale, di capitale relazionale, perché favorisce anche la realizzazione lavorativa, favorisce la creazione di reti locali, di sinergie, di collaborazioni. E vi accorgerete che nei luoghi in cui andrete, gli “autoctoni” usano abitualmente questo capitale, di cui voi non potrete disporre.
Alla fine, rimanere invece che andare via, potrebbe essere anche una scelta conveniente, oltre che giusta.
Ma sicuramente non può essere un obbligo, una condanna.
La nostra generazione ha davanti a sé una sfida che può darle senso storico come generazione: ricostruire una comunità, restituire l’orgoglio di essere calabresi. Se vorrete, insieme ce la possiamo fare.”