Quell’annuncite mischiata ad attendismo che allontana la Serie A da Crotone

Crotone Sport Vincenzo Ruggiero

Toccare l’argomento nel nuovo sancta sanctorum del calcio calabrese (prima che crotonese) è tanto azzardato quanto tentare di spiegare le teorie marxiste ad un gruppo di seminaristi sul sagrato di San Pietro. Si rischia il linciaggio mediatico di quanti, ignorando le dinamiche del realismo burocratico, rimangono ancora convinti di poter credere a promesse “da marinaio buttate lì prive di qualche buonsenso, misura e ritegno, forse con involontaria malafede o forse per incompetenza, da chi invece le verità tecniche, amministrative ed esecutive non può non averle e deve averle ben chiare.

Una sorta di pacifica rivoluzione “sociale si è scatenata, nelle ultime ore, sul web alla notizia che la Soprintendenza ai beni culturali della Calabria abbia sancito il suo ennesimo diniego al progetto di adeguamento dello stadio Ezio Scida di Crotone, mettendo così a rischio la disputa degli incontri tra le mura domestiche nell’imminente e storica “prima voltain Serie A della compagine pitagorica.

Un’altra doccia fredda ma che in realtà tale non è e addossare - come è capitato di leggere - le responsabilità della contesa alla sola Soprintendenza è ingiusto, sbagliato, se non disonesto. L’Ente, le cui determinazioni sull’impianto sportivo erano ben note da tempo, ha solo rifatto il suo dovere, quello cioè di far valere ancora una volta i vincoli di legge che da decenni, e non da oggi, insistono sul sito su cui sorge un impianto che se definissimo “abusivo” probabilmente potremmo non essere smentiti.

Una struttura su cui da anni si sono disputati incontri di calcio professionistici anche a forza di deroghe. Dove la gestione della sicurezza, non solo interna, è sempre stata motivo di pretese, giuste, da parte delle forze dell’ordine costrette in centinaia, ad ogni incontro, a presidiare impianto, pertinenze e vie d’accesso per prevenire e ostacolare eventuali “teste calde”. Uno stadio che già in un primo intervento di adeguamento, nell’imminenza del primo storico traguardo della Cadetteria, aveva manifestato apertamente tutti i suoi limiti e le sue deficienze. Un manto su cui in tanti (politici, governanti, associazionisti, imprenditori, tecnici e burocrati) hanno calpestato l’erba, anche durante improbabili passerelle pre e post elettorali, o scaldato i seggiolini in plastica rovente di una tribuna coperta con tagliandi a ‘costo zero’, cosiddetti di “cortesia” o di “autorità” ma che ricordano comunque un medioevale ius primae noctis.

Insomma, tutti lì pronti, allineati e puntuali nello “spararsi la posa” (ci si perdoni l’eufemismo dialettale) senza mai domandarsi quanto l’Ezio Scida fosse a norma o se le sue strutture fossero o meno all’altezza del compito, sebbene ricoperto finora con somma e ammirabile dignità? Eppure per quasi vent’anni l’hanno avuto in fronte: per almeno 90 minuti a partita, 20 incontri in media a stagione, oltre 30 ore all’anno.

Se poi torniamo all’attualità dei fatti e superiamo l’estasi promozione, già dai primi dell’anno il cammino della squadra di Juric aveva dato evidenti segnali di dove sarebbe andata a parare; obiettivo puntualmente confermato già dalla fine dell’aprile scorso, cioè a quattro mesi di distanza dall’inizio della regolar season successiva.

Ed è da qui che le sbandierate doti programmatiche, tanto di amministratori pubblici dall’incontrollabile “annuncite” quanto di privati imprenditori attendisti cronici, avrebbero potuto e dovuto partire, e per tempo, per proporre soluzioni “alternative” che consentissero di superare un’impasse che era più che annunciata.

Ora il rischio, però, non è solo quello di “bucare” la prima di Serie A in casa, quanto di passare agli occhi di un’intera nazione per impuniti incompetenti. O, peggio, di impenitenti “cazzari”.

V.R.