Mendicino, luci e ombre dell’accoglienza ai migranti nei Cas
In occasione della campagna LasciateCIEntrare, svoltasi dal 1 ottobre al 12 novembre scorsi, una delegazione costituita da Emilia Corea dell’Associazione La Kasbah, e dagli attivisti Luca Mannarino, Maurizio Alfano e Luana Ammendola, ha effettuato visite all’interno delle strutture di Mendicino.
Il primo ottobre sono stati interessati due Centri di Accoglienza Straordinari. Il primo CAS, denominato “Rosario 2”, è gestito dall’associazione EuroForm e dall’associazione culturale Metamorfosi. Il centro è dislocato su due palazzi adiacenti, nel centro del paese. Tre appartamenti al primo e quarto piano del primo edificio, e due nel secondo. I ragazzi ospiti del primo palazzo sono 15, cinque per appartamento e provengono da Nigeria (10), Gambia (2), Guinea Conakry (2), Burkina Faso (1). Negli appartamenti del secondo vivono, invece, 6 persone.
“All’interno degli appartamenti – riferiscono però da La Kasbah - non c’è nessun operatore, per cui decidiamo di fermarci a chiacchierare con gli ospiti sul pianerottolo dei due appartamenti contigui”. I ragazzi descrivono il locale, parlando di due camere da letto da tre e due posti, cucinino e bagno. Ricevono ogni mese il pocket money giornaliero; seguono un corso di informatica al mattino e un corso di lingua italiana nel pomeriggio, presso la sede dell’associazione EuroForm a Rende.
Tutti hanno fatto richiesta d’asilo e attendono la risposta da parte della Commissione territoriale. Il cibo viene preparato fuori dalla struttura e servito a pranzo e cena, mentre la colazione viene preparata dagli ospiti nelle cucine degli appartamenti. Non tutti sono in possesso della tessera sanitaria, ma tutti hanno fatto i controlli medici previsti.
“Nell’atrio del primo palazzo in cui sono ospitati i ragazzi – raccontano ancora gli attivisti - incontriamo una signora che si lamenta della concentrazione in una ristretta area di 21 stranieri. Racconta di avere parlato con il sindaco del comune per chiedere un’equa dislocazione e riferisce che neanche il sindaco fosse a conoscenza dell’apertura del CAS. È la solita logica degli affidamenti diretti da parte della Prefettura, nell’ottica di una continua emergenza che non prevede, dunque, una partecipazione del territorio. Ciò determina la mancata condivisione di un’esperienza di accoglienza, interazione e conoscenza con la comunità locale, anche in presenza di possibili esperienze “virtuose”, che dovrebbe essere consueta per le popolazioni che accolgono”.
A distanza di un mese gli attivisti si sono poi recati nella sede di Euroform per confrontarsi con il gestore del centro. L’incontro è con il coordinatore, Ilario del Sardo, che sarebbe anche mediatore del CAS di Mendicino.
Il coordinatore ha spiegato il motivo per cui non è stata fatta l’iscrizione al servizio sanitario per tutti gli ospiti: “un ritardo derivante dalle lungaggini burocratiche relative al rilascio del permesso di soggiorno” e parla dell’intenzione da parte dei gestori di aprire un centro di aggregazione per i migranti nel comune di Mendicino per favorire l’integrazione sul territorio.
Altra consuetudine riferita dal coordinatore del centro è quella di iscrivere i migranti al centro per l’impiego della Provincia di Cosenza, prassi unica all’interno dell’universo dei CAS. Per quanto riguarda l’inserimento di tipo lavorativo, inoltre, Euroform si sta cercando di dare vita a una ditta di catering etnico, gestita direttamente dai migranti: “in tal modo - afferma Del Sardo - si cerca di venire incontro alle loro esigenze di tipo culinario e si prova a creare opportunità di lavoro per i migranti, alla fine del percorso di accoglienza”.
Il coordinatore ha pori riferito agli attivisti di aver letto e studiato il Manuale Operativo dello Sprar “e di cercare di attivare tutte le procedure e i servizi in esso descritte, così come ogni Centro di Accoglienza Straordinaria dovrebbe fare (in ottemperanza alla Circolare del Min. Int. del 8/01/2014 e al Capitolato generale d’appalto approvato con D.M. del 21/11/2008)”.
Quanto hanno rilevato i rappresentanti de La Kasbah nel corso della visita al struttura e dal colloquio con il coordinatore fa ritenere il centro di accoglienza straordinaria gestito da Euroform come un modello di buona accoglienza nella provincia di Cosenza, “finora l’unico – sostengono - tra quelli fino a questo momento monitorati dai referenti territoriali della Campagna, insieme a quello di Longobardi”.
Inoltre, la decisione di accogliere i migranti all’interno di singoli appartamenti piuttosto che in un unico centro di, “rappresenta un ottimo esempio di rispetto delle esigenze abitative dei richiedenti asilo, troppo spesso ammassati all’interno di strutture di infimo ordine”.
Situazione completamente diversa, sempre secondo gli attivisti, sarebbe invece quella che di Via Santa Maria, sempre a Mendicino, dove è stato aperto un altro CAS, gestito dalla Tre Effe di Campana: “secondo quanto ci viene riferito dal coordinatore del centro, Ahmed Berraou – affermano - una Cooperativa Sociale dedita al catering e alla ristorazione, e improvvisamente riscopertasi votata all’accoglienza”.
Appena arrivati, il responsabile e gli operatori hanno accolto i rappresentanti della campagna e si sono resi disponibili a farci visitare il centro e a farli parlare con gli ospiti. Il centro è stato aperto da oltre tre mesi e accoglie circa 23 persone provenienti da Costa D’Avorio, Guinea Conakry, Nigeria, Senegal, Liberia. Il CAS è dislocato su due livelli in uno stabile che appare strutturalmente nuovo. All’interno ci sono camere da letto, da tre e due posti, e servizi igienici.
“Notiamo, però, che – spiegano da La Kasbah - alcuni materassi sono senza lenzuola né coperte. È stata creata una sala per la preghiera ed è da poco presente una rete wi-fi. Il responsabile ci dice che sono presenti un coordinatore, un mediatore, una pedagogista (che funge da psicologa), un operatore socio-sanitario, un operatore che impartisce lezioni di lingua italiana ogni mattina e un operatore notturno”.
“Come al solito, l’ottimo scenario prefigurato dal coordinatore” sostengono però gli attivisti, sarebbe stato “ribaltato dal racconto dei ragazzi” ospiti. Nessuno di loro pare sia ancora andato in commissione in quanto nessuno ha ancora compilato il modello C3 per la richiesta d’asilo. Né tanto meno sarebbero in possesso della tessera sanitaria, tutti lamenterebbero il fatto che non gli vengano consegnate medicine in caso di necessità e che, dal loro arrivo, non abbiano usufruito di visite mediche.
I rappresentanti de La Kasbah sostengono poi che sempre gli ospiti abbiano raccontato come pranzo e cena vengono preparati fuori dalla struttura, e che la qualità sia scadente. La colazione consisterebbe in un solo bicchiere di latte; non verrebbero poi forniti loro vestiti. Altra lamentela il freddo durante la notte, e l’acqua calda, a loro dire, arrivata solo dal giorno prima. Infine non avrebbero ancora ricevuto il pocket money dovuto.
“Si lamentano perché non vengono loro forniti i prodotti di base per l’igiene personale. Il tutto – affermano gli attivisti - ci viene riferito davanti agli operatori, i quali cercano di minimizzare le rivendicazioni da parte dei migranti, additando alcuni di loro come gli agitatori del gruppo. Gli operatori, inoltre, ci riferiscono che la struttura - al momento dell’apertura del Centro - non era ancora stata dichiarata agibile”.
La situazione rilevata nel CAS di Mendicino, proseguono dall’associazione, “appare solo come la punta dell’iceberg di un sistema che prevede ritardi sistematici (dettati, a volte, da scarse competenze degli addetti) nelle questure e negli uffici pubblici preposti al rilascio della dovuta documentazione, spostamenti continui dei migranti “accolti” e conseguenti rinvii e re-impostazioni di tutti gli iter utili all’ottenimento di documenti il cui possesso significa possibilità di vita autonoma”.
Sei nigeriani ospiti del centro, infatti, sono stati trasferiti dal CAS di Camigliatello, chiuso dalla Prefettura di Cosenza, a fine luglio. Altre 15 persone sono state trasferite da Messina, passando per Acri. Sono, dunque, persone in Italia da cinque mesi, sballottate da un centro all’altro, senza ancora aver avuto la possibilità di formalizzare la richiesta di protezione internazionale e senza alcuna assistenza sanitaria.
Il 12 novembre gli attivisti si sono recati nuovamente presso il centro di accoglienza di Via Santa Maria, allertati da una richiesta di aiuto da parte degli ospiti. “All’arrivo, i migranti, date le avverse condizioni meteo – raccontano - ci invitano a entrare all’interno del centro. Ci riferiscono di una protesta verificatasi tre giorni prima, in seguito alla quale è stato loro sospesa la somministrazione dei pasti per due giorni consecutivi. La struttura appare particolarmente fredda, i riscaldamenti non sono in funzione. I richiedenti asilo raccontano che il pocket-money non viene loro erogato secondo le scadenze stabilite. Riferiscono che, a fronte dei 75 euro previsti, sono stati loro erogati 35 euro nel mese di settembre e 40 euro nel mese di novembre, ragion per cui hanno protestato nei giorni addietro. Il giorno successivo alla rimostranza, ci raccontano che il coordinatore del centro ha fatto ricorso alle forze dell’ordine che, giunte sul posto, hanno chiesto le generalità di uno degli ospiti”.
“Lo stesso – spiegano ancora i rappresentanti dell’associazione - ci riferisce che un operatore, in seguito alla loro dipartita, gli ha comunicato che probabilmente sarà revocata l’accoglienza. Durante il colloquio con i migranti, il mediatore culturale ci riferisce che il responsabile del centro, allertato telefonicamente intende parlare con uno dei referenti della campagna. Al telefono, ci intima ad allontanarci dalla struttura, in quanto privi di autorizzazione ad entrare. Gli facciamo presente che non è nostra intenzione soffermarci all’interno ma che non può impedirci di parlare con i richiedenti asilo fuori dalle mura del centro. Da qui parte una lamentela contro ‘quei gran signori (riferito ai migranti) che non fanno altro che lamentarsi’, contro la Prefettura che non ha ancora erogato alla cooperativa il finanziamento, contro di noi che non sappiamo cosa significhi gestire una struttura di accoglienza. I migranti ci accompagnano all’uscita, alcuni scalzi e con addosso vestiti leggeri. Chiediamo loro perché non indossino abiti più pesanti, date le temperature bassissime all’esterno. Ci rispondono di essere sprovvisti di vestiti adeguati per la stagione”.
“Stiamo costretti, dunque, ad evidenziare per l’ennesima volta – affermano sempre dall’associazione - le storture di un sistema di accoglienza che non funziona. Com’è possibile che persone giunte in Italia da mesi, dopo esperienze di viaggio traumatiche segnate da perdite, maltrattamenti, stenti, sopravvissute a tragiche traversate, vengano “spostate” come pacchi postali da un centro all’altro senza nessuna tutela dei loro diritti? Com’è possibile che coloro che dovrebbero tutelare i migranti, facciano ricorso alle forze dell’ordine ogni qualvolta gli ospiti protestano per il mancato rispetto dei loro diritti? Il caso vuole che questo centro nasca proprio vicino ad una chiesa ribattezzata anni fa Santuario di Santa Maria dell’Accoglienza’: ironia del destino?”.