Scuola di cultura politica: l’anticorruzione al centro del dibattito
La Scuola di cultura politica ha visto, a Reggio Calabria, l’intervento della prof.ssa Nicoletta Parisi, ordinario di Diritto internazionale nell'Università di Catania e componente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, sul tema “Anticorruzione e politica”.
“La corruzione – ha dichiarato Parisi - ha superato ogni misura accettabile. La corruzione è un male endemico all’economia, ai giovani, alla tenuta del sistema democratico, che spezza un vincolo fiduciario che c’è tra cittadino e Stato. Di fronte a questo panorama, abbiamo il nuovo codice dei contratti pubblici e abbiamo un pezzo consistente del Paese che ha fatto pressioni importanti sul governo per determinare la posticipazione dell’applicazione di certi istituti abbastanza nuovi che ci vengono dall’estero, sono stati recepiti dall’Unione Europea e sono state incamerate nelle direttive del 2014. Stanno cercando di bloccare un processo di rinnovamento della società nel settore dei contratti pubblici con una richiesta di ritorno al passato”.
“Come se non sapessimo che – ha aggiunto la docente - il vecchio codice degli appalti pubblici non funzionava, come se non fossimo consapevoli che quel codice è stato infiltrato dalla corruzione. La sfida si erige su due pilastri. Da una parte la responsabilizzazione di tutti i componenti della società, cittadini, operatori economici, pubblica amministrazione e università, dall’altra innalzamento della competenza di tutti questi componenti”.
L’Anac, ha spiegato ancora Parisi, “rappresenta il cuore del sistema della prevenzione. Ciò che emerge dalla società civile e dagli enti pubblici in generale, è che il sistema normativo che sta dietro Anac, è un sistema che appesantisce gli enti pubblici con nuovi adempimenti burocratici. La nostra è una prospettiva di tipo sostanzialista. Il problema è che gli adempimenti alle norme non dovrebbero essere visti come un mero adempimento burocratico, ma vissuti come una occasione che la Pubblica Amministrazione ha di fare i conti con se stessa, con la propria organizzazione, con le proprie modalità, con le proprie capacità di lavorare”.
All’incontro erano presenti l’avv. Raffaele Cananzi, presidente dell’Istituto Istituto Superiore Europeo di Studi Politici, il prof. Francesco Manganaro, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia nell’Università Mediterranea, il prof. Nico D’Ascola, presidente della Commissione Giustizia del Senato e direttore della Scuola e il prof. Daniele Cananzi, coordinatore scientifico della Scuola che ha evidenziato come “Il riferimento è ad uno spazio pubblico di apparizione dove sono delineate due strade, una quella della competenza, efficienza e responsabilità e l’altra totalmente opposta. La chiave è nel patto tra cittadini e Stato. E’ lì che si deve scavare”.
“La semplificazione – ha aggiunto - non è semplicemente la semplificazione normativa. Ma, dovrebbe essere anche una semplificazione dal punto di vista del rapporto tra cittadino e Stato. Lo Stato ha iniziato a disconoscere quella distinzione tra costringere e obbligare. Uno Stato che inizia a costringere senza essere capace ad obbligare è un potere che difficilmente è sopportabile dal cittadino che da parte sua, siccome il rapporto fiduciario si è interrotto, partecipa, costringendo ed evadendo nelle varie forme, perché non c’è più il senso di appartenenza. E’ una questione di cultura politica. La politica illuminata dalla cultura ha a che fare con quello spazio pubblico di apparizione nel quale compare l’individuo come singolo nel suo privato e nel quale come singolo nel suo privato appare alla comunità della quale è parte”.
Le conclusioni sono state del presidente della Commissione Giustizia del Senato, Nico D’Ascola: “C’è il problema dell’ampiezza del controllo sulle attività della Pubblica Amministrazione. Questo è un aspetto che riguarda la risposta ad una domanda precisa, ossia se debba essere soltanto il diritto penale ad intervenire nel controllo delle situazioni disfunzionali della Pubblica Amministrazione. E poi, c’è il problema delle connessioni della corruzione con tutta una serie di questioni che riguardano non soltanto il corretto assetto democratico della nostra nazione, ma l’economia, il patto tra cittadini e Stato. Il diritto penale si è rivelato sempre più come uno strumento inadeguato, incompleto a determinare un effettivo controllo sulle attività della Pubblica Amministrazione e questo per un aspetto tipico del diritto penale che è stato troppo spesso sottovalutato”.
“Il diritto penale – ha proseguito il presidente - è un settore punitivo dell’ordinamento giuridico come tale interviene quando un evento si è verificato. Il diritto penale non può attribuirsi compiti della prevenzione, se non attraverso quella mitologica funzione preventiva della pena. Il controllo sulla Pubblica Amministrazione non può passare esclusivamente attraverso il diritto penale. Deve passare attraverso un sistema di prevenzione, per altro il diritto penale è costruito sulle responsabilità individuali”.
“Le corruzioni – ha spiegato D’Ascola - nascono all’interno di contesti collettivi all’interno dei quali non tutto è diritto penale, perché la inefficienza della Pubblica Amministrazione è causativa anche di condotte illecite che non sono tutte qualificabili come tali alla stregua del diritto penale. I contesti collettivi – ha concluso il presidente - sono più facilmente regolabili attraverso sistemi legislativi del tipo della 231 del 2001, non necessariamente implicano l’intervento del diritto penale, ovvero il diritto penale è ciò che dovrebbe effettivamente essere, quella extrema ratio che interviene nel rispetto anche del principio di frammentarietà dell’intervento penalistico a colpire quelle che potremmo definire le isole maggiormente rappresentative del disvalore di diritto penale”.