Impianti pubblicitari affidati a pregiudicati, 12 indagati tra tecnici e funzionari pubblici
Sequestrati d’urgenza 17 impianti pubblicitari di grandi formati (6 metri per 3) installati nei comuni di Guardia Piemontese ed Acquappesa, sul Tirreno cosentino.
Ad eseguire il provvedimento sono stati i carabinieri di Paola nell'ambito di un'indagine coordinata dal sostituto procuratore Anna Chiara Fasano, e nella quale sono indagate una dozzina di persone tra cui vi sono anche amministratori, tecnici e funzionari comunali. Le accuse sono di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, depistaggio, concorso di abuso d'ufficio, rifiuto di atti d'ufficio, falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico.
Il depistaggio viene contestato a tre dei coinvolti che, in qualità di pubblici ufficiali e per ostacolare, sviare e comunque impedire le indagini dei Carabinieri, uno avrebbe negato di conoscere l'attività d'installazione e gestione delle pubbliche affissioni; gli altri due, invece, avrebbero prodotto alcune autorizzazioni ed atti ambigui dai cui sarebbero emersi gli introiti del loro Comune.
Secondo gli inquirenti, dunque, si sarebbe affidata la gestione dei "cartelli" violando il codice degli appalti pubblici, favorendo così della aziende pubblicitarie che non avrebbero avuto i requisiti morali, professionali e di regolarità contributiva, riconducibili a persone di Cetraro e Paola, pluripregiudicati per mafia o sorvegliati speciali di pubblica sicurezza, ritenuti vicini al clan Muto di Cetraro.
La tesi è che si sarebbe anche proceduto a concedere gli impianti senza procedere con la dovuta trasparenza, affidandoli direttamente alle società nominate dai due Comuni senza che possedessero i presupposti per una legittima partecipazione alle gare o, addirittura, versando in situazioni di confisca o cessazione dell'attività. Inoltre viene sostenuto che gli indagati avrebbero effettuato una sorta di "passaggio di consegne" dei servizi pubblicitari da un’azienda all’altra.
Agli enti, poi, non sarebbe stato corrisposto alcun canone per la gestione del servizio, nonostante il regolamento per la disciplina pubblicitaria comunale preveda un guadagno attraverso “affidamenti onerosi”. Se ciò fosse confermato, dunque, le casse delle amministrazioni avrebbero subito un danno grave mentre le aziende interessate ne avrebbero tratto un ingiusto profitto.
Dai riscontri eseguiti dagli investigatori, poi, risulterebbe che l'attività di gestione degli impianti pubblicitari sarebbe ancora in corso e su un territorio molto più ampio.