I toponimi memoria della collettività, lo studio di Danilo Franco
Su una cosa è Danilo Franco, “quando mancano i reperti archeologici o le fonti scritte per ricostruire la storia di un luogo, viene in aiuto dei ricercatori la toponomastica”. E così ha fatto nella vallata dello Stilaro dove ha studiato due luoghi: Argalia e il monte Petracca. Franco ha infatti effettuato uno studio per risalire all'origine dei luoghi.
Ma andiamo con ordine. “La vallata dello Stilaro – prosegue Franco - posta al confine nord della provincia ionica della Città Metropolitana di Reggio Calabria, da millenni ha recitato un ruolo importante nello svolgimento degli eventi storici che hanno caratterizzato l’intera area. Gli etimi, infatti, possono paragonarsi alle pagine di un libro che, se lette in filigrana, consentono di approfondire la conoscenza di un paese, di un territorio o di un fondo rustico e di fare luce su eventi lontani. Molti di essi, inoltre, rappresentano dei veri e propri luoghi della memoria che conservano e tramandano fatti accaduti in età remote, avvenimenti che sono alle radici della nostra stessa storia”.
Ma come sottolineato dall’archeologo “oggi questi retaggi di idiomi ormai scomparsi, svuotati del loro significato originario, sembrano solo dei semplici nomi, in passato invece indicavano qualcosa di assolutamente diverso, qualcosa che per le popolazioni autoctone aveva un significato certo. Parecchi toponimi tramandano la presenza di un luogo di culto, altri descrivono le caratteristiche fisiche del territorio, altri, invece, il nome del proprietario del sito, altri infine, e non vado oltre, eventi accaduti”.
Da qui la ricerca toponomastica su Argalia. “Si tratta di un sito molto importante per la storia dell’economia locale. Argalia, viene anche chiamata “Mulino do furnu” e sta ad indicare un’officina, di probabile età bizantina, dove era attivo un maglio. Fino alla prima metà del sec. XVII, in questa zona, fu attivo un forno fusore per la lavorazione della galena, conosciuta anche come piombo argentifero, che veniva estratta dalla vicina contrada di Argentera. Da questa stessa miniera si ha motivo di credere che gli abitanti della città magno-greca di Caulon estraessero da questa miniera il minerale per coniare le proprie monete d’argento.
“Purtroppo nel secondo ventennio del ‘900 il sito venne sconvolto con la costruzione di una conceria, che prese il posto della precedente ferriera, ormai in disuso. E’ noto, invece, che nel 1274 venne realizzato nella stessa area un mulino, non per macinare il grano, ma un “mulin de fer”, così chiamato per la presenza di magli azionati dalla forza dell’acqua. Esso serviva per ridurre in polvere la galena estratta dalla prospiciente miniera, l’Argentera, prima che la stessa fosse avviata a fusione nel vicino altoforno. Esso rappresenta il più antico esempio di “mulin de fer” presente nel tredicesimo sec. nell’Italia centro-meridionale. Non bisogna, infatti, dimenticare che questa nuova tecnica, sperimentata a lungo nelle regioni francesi, venne importata nella vallata dello Stilaro proprio dai cistercensi quando nel 1193 si sostituirono ai certosini nel governo di S. Stefano del Bosco”.
“Nella stessa zona, a dimostrazione della sovrapposizione di un sito industriale ad un altro e di conseguenza della continuità d’uso, fu costruita nel sec. XV una ferriera che nel 1524 divenne proprietà di Cesare Fieramosca, fratello di Ettore, il protagonista della disfida di Barletta. Poco più distante su di un affluente delle Stilaro, il Melodare, vi è una località denominata “argastili” (ergasterion), che sta ad indicare la presenza in epoca magno-greca o bizantina di una officina metallurgica di supporto alle miniere. Ciò a sottolineare che l’intera alta vallata dello Stilaro era sede di un centro siderurgico sin dai tempi remoti”.
Sulla cima del “monte Punga (lat. med. puncta “appuntito”), oggi Petracca (lat. petra “rupe”), situato tra il monastero di S. Giovanni Theristis ed il monte Consolino, vi sono, a quota 406 m/slm, i resti di un apprestamento difensivo, risalente forse, nel suo stadio iniziale, al periodo preromano. L’area in questione, della quale si era perduta la memoria storica, venne scoperta, circa 30 anni fa, e segnalata alle autorità competenti da Salvatore Riggio e dal sottoscritto.
“Cosa si sa di questa struttura militare? Quasi nulla, anche se le fonti, a nostra disposizione, confermano che tale fortilizio, benché conosciuto ed utilizzato già nella prima fase della dominazione bizantina, fosse in stato di abbandono subito dopo l’anno mille. I Normanni, infatti, quando nel 1094 cedettero alla certosa di S. Stefano del Bosco il monastero di S. Maria di Arsafia con i suoi casali, inserirono nell’atto di donazione anche il monte Punga, definito come luogo «ubi erat guardia”. Ancora, in una sentenza dello stratega Filippo dell’ottobre 1133, il sito viene indicato con il nome significativo di “Kastel Beteros”.
“La citazione in atti ufficiali testimonia l’importanza che l’apprestamento aveva avuto nel sistema difensivo della vallata. Si trattava, appunto, di un fortilizio posto a guardia dell’entroterra e degli assi di penetrazione verso le Serre, costituiti dalla Via Grande (detta Via Randa), prosecuzione montana della strada che si dipartiva dalla porta ovest della greca Caulon, e da una trazzera, della quale rimane solamente il toponimo Droma ( gr. “via”) e Mancusella di Droma, che, dal torrente Stilaro portava verso la montagna passando per i Cassari (ar. qasr “villaggio fortificato”) e le Acque Sante, per poi risalire nell’area di Mangiatorella-Ziia, interessata da fenomeni di antropizzazione già nel neolitico”.
Tale impianto, del quale si può ipotizzare l’esistenza grazie ai ritrovamenti archeologici e ai toponimi, era costituito da un linea difensiva che toccava l’area di Petrulari, posta tra Stilo e Pazzano, una o più piazzeforti sul monte Consolino e sulle sue falde, prima della costruzione della fortezza normanna, il nostro Petracca, l’area del monastero di S. Giovanni Theristis (valico obbligato per Kaulon e le Serre), i monti Palamandria e Pellicciano nei pressi di Lacini, nonché un fortilizio esistente nell’area di Castiglione (lat. castellum “fortificazione”) sul torrente Melodare. Proseguiva, poi, verso sud-ovest, tramite il costone calcareo del monte Mammicomito fino al monte Gallo, gravitante nell’area di Caulonia-Placanica, e a nord-est verso il sito archeologico insistente sull’alto corso dell’Assi”.