Frane e smottamenti, da Alforlab 2 modelli di stima per prevenirli
È ampiamente risaputo che tra i problemi che affliggono la Calabria c’è anche quello della fragilità del suo territorio. È noto, inoltre, che il dissesto idrogeologico ha molto a che fare gli ecosistemi forestali: quello della gestione dei boschi e quello dei rischi di frane e smottamenti sono due temi fortemente interconnessi.
Dal laboratorio Alforlab, sodalizio pubblico-privato che vede come protagonista il CNR-ISAFOM di Rende (CS), arrivano adesso due modelli di stima del rischio ambientale in bacini forestali, che possono migliorare l’approccio degli operatori pubblici e delle amministrazioni locali, dei professionisti e degli esperti, al fattore prevenzione.
Il primo, denominato GA-SAKe (Genetic Algoritms-Self Adaptive Kernel) ed elaborato presso l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (CNR-IRPI), è un «modello empirico-idrologico per la previsione di frane, la cui calibrazione è automatica grazie all’utilizzo di algoritmi genetici». Si può applicare a singole frane (superficiali o profonde) o ad un insieme di frane simili, in contesti geo-ambientali omogenei.
L’atro modello è denominato Shallow Landslides Stability Index (SLSI) ed è stato elaborato presso l’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (CNR-ISAFOM), diretto dal dottor Giorgio Matteucci.
Questo modello, che ha trovato una sua applicazione pratica presso il bacino sperimentale del Bonis (Sila greca cosentina), è stato implementato su piattaforma GIS e si basa sull’analisi di stabilità dei pendii naturali, l’andamento altimetrico della falda, su ciò che aumenta la stabilità superficiale del pendio.
«Le foreste - spiega il direttore del CNR-ISAFOM Matteucci - hanno la fondamentale funzione ecologica di protezione del suolo dall’azione del vento e delle valanghe, nonché dai fenomeni erosivi e di dissesto idrogeologico. Infatti il complesso vegetazionale, permette di esercitare una funzione di regimazione dei flussi idrici, garantendo così lo sviluppo e la conservazione di suoli forestali. Grazie alle radici delle piante si può stabilizzare il terreno, limitando l’effetto destabilizzante di eventi erosivi. Questi effetti stabilizzanti possono essere quantificati mediante l’utilizzo di modelli numerici che permettano di integrare gli effetti della vegetazione per poter prevenire o quantomeno localizzare le aree più probabilmente suscettibili a franare.
In questo contesto si integra il modello SLSI, che permette di realizzare un’analisi del fattore di sicurezza all’interno dell’area di studio integrando al suo interno le variabili geologiche, idrogeologiche e della vegetazione. Questo permette di eseguire un’analisi speditiva dove il principale output dell’applicazione consiste nell’elaborazione di una mappa del fattore sicurezza (Fs) in condizioni stazionarie, permettendo di intervenire attraverso una adeguata gestione integrata delle risorse forestali nelle aree a maggiore rischio per prevenire eventuali fenomeni franosi».