Specie protette catturate in Calabria: finivano all’estero o nei ristoranti al nord. 8 arresti
Dei bracconieri che, senza scrupoli, catturavano indiscriminatamente migliaia esemplari di volatili nella aree boschive della Calabria e che avevano organizzato una filiera illegale per vendere gli esemplari vivi tanto in Italia quanto all’estero, e sviluppato anche dei canali autonomi di distribuzione dell'uccellagione morta, che era destinata, invece, ai ristoranti del Nord Italia.
Questo quanto emergerebbe da un’indagine della Procura di Reggio Calabria che stamani ha fatto scattare un’operazione, denominata “Free Wildlife”, con cui si ritiene di aver smantellato un’organizzazione dedita al traffico di specie animali protette.
Otto persone sono state così raggiunte da un’ordinanza di custodia eseguita alle prime ore di oggi, nel reggino, dai Carabinieri Forestali del Raggruppamento Cites.
LE ACCUSE contestate ai presunti bracconieri sono appunto di appartenere ad un’organizzazione dedita alla cattura ed al commercio, su territorio nazionale e all’estero, di avifauna selvatica protetta e particolarmente protetta dalla Convenzione di Berna.
I DETINATARI DEL PROVVEDIMENTO
I coinvolti nell’indagine sono Francesco Repaci, 70enne; Pasquale Repaci, 41enne; Giuseppe Gagliostro, 55enne; Angelo Barillà, 46enne; Rocco Costantino, 60enne; Giovanni Porpiglia, 27enne; Demetrio Labate, 61enne; Domenica Siclari, 59enne: sottoposti tutti ai domiciliari tranne l’ultimo, Siclari, raggiunto da un obbligo di dimora.
A tutti viene contestata l’associazione a delinquere, “per – sostengono gli inquirenti - essersi stabilmente associati allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati, ricettazione …”
Gli otto sono inoltre indiziati dei reati di uccisione e maltrattamento, “per aver con crudeltà e senza necessità seviziato gli animali e per aver tenuto comportamenti insopportabili per le loro condizioni etologiche ed in alcuni casi provocandone la morte”.
UN’INDAGINE INIZIATA NEL 2016
L’esecuzione dei provvedimenti cautelari è l’epilogo di un’articolata attività di indagine, avviata nel 2016 e coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
Questa ha permesso di svelare l’esistenza di una presunta organizzazione criminale, con proiezione transnazionale, i cui sodali - attraverso prelievi indiscriminati di migliaia di esemplari di volatili protetti e particolarmente protetti – avrebbero alimentato il mercato illegale dell’avifauna viva per finalità di richiamo e i mercati illegali di quella morta.
Il sistema avrebbe consentito di catturare, per ogni postazione, non meno di 200/300 esemplari al giorno, per un valore sul mercato clandestino tra i 25 e i 100 euro, a seconda della specie: un Cardellino, d esempio, è stato venduto fino ad 50 euro, il prezzo del Verdone oscillava tra i 25 ai 50 euro; un Frosone dai 60 ai 100 euro; un Verzellino dai 25 ai 50 euro.
LA GRAVE MINACCIA PER LA BIODIVERSITÀ
I reati, “compiuti in modo massivo e in violazione della normativa”, sostengono ancora gli investigatori, rappresentano una grave minaccia alla biodiversità.
L’alterazione delle relazioni esistenti tra le specie viventi e i loro habitat, causata dall’attività illecita, è ritenuta infatti un pericolo per l’equilibrio dell’ecosistema oltre che comportare un conseguente danno al patrimonio ambientale, incalcolabile.
Le investigazioni, sviluppate attraverso attività tecniche e pedinamenti sull’Aspromonte e su altre aree protette del territorio nazionale, avrebbero permesso di scoprire il “modus operandi” adottato dai coinvolti, e che si sarebbe sviluppato in più fasi e con ruoli e compiti ben delineati.
COSÌ SI SCEGLIEVANO LUOGHI E SPECIE
Gli indagati avrebbero dapprima individuato le zone con maggior presenza di uccelli, come quelle percorse da corsi d’acqua. Quindi ricoprivano le acque dei fiumi con mangime così da fa avvicinare le prede e abituarle a frequentare quei terreni.
Inoltre, per rendere più sicuro l’avvicinamento, posizionavano vicino ai corsi d’acqua dei volatili della stessa specie, oppure richiami acustici a funzionamento elettromagnetico. Una volta abituata l’avifauna a frequentare queste aree, installavano le reti da uccellagione per la cattura.
UN’ATTIVITÀ “IMPRENDITORIALE”
La tesi degli inquirenti è che poi che esisterebbe una “natura organizzata” ed “imprenditoriale” dell’associazione, anche in relazione alle ingenti somme che erano necessarie per l’acquisto di grandi quantitativi di mangime, e all’impiego di ore di tempo e lavoro per raggiungere le zone di pastura, percorrendo anche 400 o 500 chilometri al giorno per sopralluoghi, posizionamenti e catture.
Solo nel 2016 sono stati sequestrati circa 13 mila esemplari di avifauna protetta, viva e morta, con un volume d’affari annuo generato sul mercato dall’attività per gli esemplari venduti può essere stimata a un milione di euro annui.
L’indagine è stata diretta dal Sostituto Procuratore Roberto P. Di Palma e coordinata dall’aggiunto Gerardo Dominijanni. I provvedimenti sono stati eseguiti dai Carabinieri Forestali del Raggruppamento Cites-Sezione Operativa Antibracconaggio e Reati a Danno degli Animali, supportati in fase investigativa dal Nipaaf di Reggio Calabria e coadiuvati in fase esecutiva dai militari del Comando Provinciale Carabinieri del capoluogo, del Reparto Parco Nazionale “Aspromonte” e dal Gruppo Carabinieri Forestali.
(ultimo aggiornamento 11:48)