Svolto a Camigliatello il convegno “Il Sacro e la montagna calabrese”
La vetta di un monte costringe ad alzare lo sguardo. È come un indice puntato verso il cielo, è il rimando allo Zenit e quindi alla luce, all'inaccessibilità, alla trascendenza rispetto all'orizzonte in cui siamo immersi quotidianamente. Il monte con la sua cima, che sembra perforare il cielo, ricalca la posizione eretta dell'uomo che si è alzato dalla brutalità della terra. È una sorta di simbolo della vittoria sulla forza di gravità ed in tutte le culture si ritrova, nel profilo verticale della montagna, un'immagine della tensione verso l'oltre e l'altro rispetto al limite terrestre, ed in tutte le religioni, un segno dell'Oltre e dell'Altro divino.
Una intera domenica dedicata allo studio de “Il sacro e la montagna calabrese” è quella che si è svolta nella suggestiva cornice di Torre Camigliati a Camigliatello Silano, grazie al Convegno organizzato dal Circolo di Studi Storici “Le Calabrie” e che ha richiamato studiosi ed appassionati da tutta la regione.
«Dopo la positiva esperienza dello scorso anno, quando si tenne nella stessa sede un incontro di studi sul tema “La Sila: usi, paesaggi, risorse” - ha spiegato Marilisa Morrone, presidente del Circolo di Studi Storici “Le Calabrie” - l’assemblea, su proposta del socio cultore arch. Pasquale Lopetrone, ha deliberato che l’evento di Torre Camigliati divenisse appuntamento annuale. La scelta di trattare la tematica della montagna calabrese è legata all’esistenza di un elemento comune tra il Pollino, la Sila, le Serre e l’Aspromonte ovvero la presenza di stanziamenti monastici e di luoghi di culto fin dagli albori del Cristianesimo. I più importati rilievi calabresi, infatti, hanno registrato, sin dal medioevo grandi figure di monaci e Santi – ha continuato la Morrone- importanti monasteri e venerati santuari meta di pellegrinaggi ancora oggi: S. Nilo, Gioacchino da Fiore, S. Brunone da Colonia, S. Nicodemo di Mammola, S. Leo di Africo, S. Fantino il Cavallaro; luoghi come l’abbazia Florense, la Certosa di Serra, il Convento domenicano di Soriano, l’abbazia di S. Nicodemo e il santuario di Polsi, il Santuario delle Armi, il Patirion, ne sono i più celebri»
A fare gli onori di casa è stata Mirella Stampa Barracco che ha sottolineato come «nel Parco Old Calabria si continui a fare della Cultura il motivo trainante della sua stessa esistenza – ha ribadito – pertanto al sodalizio con il Circolo per la promozione di tali discipline nella nostra regione».
A condurre gli astanti alla scoperta del sacro nelle montagne calabresi sono state le relazioni ad iniziare dal docente Unical, Pietro Dalena, che, partendo dalla lettera di S. Bruno a Rodolfo il Verde, prevosto di Reims, ha delineato le motivazioni della scelta della montagna quale sede preferita dai religiosi del Medioevo. «Bellezza del paesaggio, pace, tranquillità, vicinanza al Cielo, solitudine. E’ così che le balze delle montagne calabresi pullulano di asceteri e laure; Gioacchino da Fiore, sulle orme del monachesimo italo-greco, si ritira nella profonda Silva Sila, S. Bruno alle sorgenti dell’Ancinale, S. Nilo nelle terrazze della Sila Greca. Sono sempre le montagne calabresi la meta preferita da monaci in fuga dall’oriente o dalla Sicilia conquistata dagli Arabi, come S. Vitale di Castronuovo che, dopo aver attraversato tutta la Regione, si insedia a Nord, nella zona dell’attuale S. Demetrio Corone».
La relazione di Enzo D’Agostino, Deputato di Storia Patria per la Calabria e storico della Chiesa, ha posto l’attenzione sull’occupazione monastica del versante jonico dell’Aspromonte nel medioevo che trova il momento clou nell’arrivo dei monaci greci dalla Sicilia verso la valle delle Saline, «Particolarmente significativo – ha detto D’Agostino –fu l’arrivo dei religiosi del monastero di S. Filippo di Agira fondatori di ben tre monasteri in provincia di Reggio. Si possono definire tre zone monastiche greche nel versante jonico dell’Aspromonte: la vallata del Torbido, la zona di Gerace e la vallata del Bonamico dove domina nel cuore dell’Aspromonte, il grande Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, sovrappostosi ad un antico monastero di Popsi, già menzionato nel XIII sec.»
La relazione dell’archeologo Francesco Cuteri ha coinvolto con i racconti di eremiti e monaci nelle serre calabre «L’essenza della vita certosina, oltre le prove e le tentazioni sulle quali san Bruno si sofferma poco, le descrive in un passo famoso che paragona la montagna al deserto, dove gli uomini coraggiosi possono rientrare in se stessi quanto vogliono e dimorare nel loro cuore, coltivare intensamente i germi delle virtù e gustare con gioia i frutti del paradiso. La montagna –ha detto Cuteri – conserva le tracce storiche della fede delle popolazioni che hanno vissuto i diversi territori. Tracce ancora incontaminate e da scoprire». Per finire, il docente Unical, Mario Panarello si è soffermato sulle opere d’arte commissionate dai diversi monasteri nel tempo, e che rappresentano patrimonio ancora in gran parte sconosciuto e da valorizzare.
Al termine del convegno, un ampio e stimolante dibattito ha registrato gli interventi di Padre Bruno Macrì, Filippo Racco, Giacinto Marra, Luigi Morrone, Antonio Macchione, Vincenzo Naymo, Riccardo Allevato, Salvatore Spagnolo, Giulia Fresca, Salvatore Zurzolo e Maria Gabriella Morrone, presidente del Club per l’UNESCO di S.Giovanni in Fiore.
L’appuntamento a Torre Camigliati sarà nel mese di settembre 2019 mentre continuano le giornate di incontro e studio del Circolo “Le Calabrie” come quella che si svolgerà il prossimo 28 ottobre nel borgo di Gallicianò nonchè l’uscita del numero 11 della rivista “Studi Calabresi. Storia Arte Archeologia”.